il popolodelblues

Special

Little Shoots: il meglio dalla scena alt-country e country rock

16 luglio 2012 by Salvatore Esposito in Special

Uno speciale dedicato ad alcune novità della scena Alt-Country e Country-Rock con otto album imperdibili

Some Alt-Country and Country-Rock new releases. Scenes, bands, songwriters and folkers in eight albums that you can’t miss.

Whitehorse – Whitehorse (Six Shooter)
www.whitehorsemusic.ca

La storia del rock, come quella del country è piena di coppie nella vita e nella musica, come dimenticare Johnny Cash e June Carter o Richard e Linda Thompson. L’ultima della serie è quella composta da Luke Doucet e Melissa McClelland, marito e moglie dal 2006 e da qualche anno anche nel medesimo rooster dell’attiva indie label canadese Six Shooters. Il continuo interscambio di idee ed ispirazioni tra le mura domestiche ha gettato le basi per la nascita del progetto Whitehorse, che li vede unire forze ed ispirazioni per un Ep composto da otto brani incisi praticamente in solitario con Doucet a dividersi tra voci, chitarre elettriche ed acustiche, basso, pedal steel, organo e banjo e la McClelland a farsi carico di voci e chitarre acustiche, e il solo aiuto di Barry Mirochnick e Pat Steward alla batteria e Dough Elliott al basso. Che sia un progetto strettamente legato alla loro vita di coppia lo si percepisce già guardando la copertina che ritrae i due musicisti canadesi mano nella mano a passeggio in un bosco, tuttavia il risultato non è assolutamente da trascurare con i brani che partendo da una solida base roots si muovono su un territorio prettamente cantautorale spaziando da ballate elettriche come Broken al blues di Killing Time is Murder, fino a toccare brani dalle atmosfere più introspettive come Passenger 24. Il brano più intenso del disco arriva sul finale con Night Owls, che con le sue atmosfere dolci rappresenta il più giusto congedo per la coppia.

 

I See Hawks In L.A. - New Kind of Lonely (Blue Rose)
www.iseehawks.com

Considerati una delle band più interessanti della scena di Los Angeles, gli I See Hawks In L.A. si caratterizzano sin dalla loro formazione per una intensa attività live e per chi passa dalle loro parti è molto facile poter assistere ad una delle loro esibizioni presso il Cole’s Bar di cui in qualche modo sono la resident band. A differenza dei loro dischi precedenti per lo più elettrici, la band losangelina con New Kind Of Lonely ha scelto di imboccare la via dell’acustico dandoci una testimonianza fedele di quelli che sono i loro show unplugged. Così i tre pilastri della band Rob Waller, Paul Laques e Paul Marshall imbracciati chitarre, dobro e basso acustico ci regalano tredici brani impregnati di country psichedelico e west coast ed impreziositi dalla presenza di alcuni ottimi musicisti come Gabe Witcher (violino), Cliff Wagner (banjo), Trichie Lawrence (accordion) e Dave Raven che di tanto intanto si aggiunge alla batteria. L’ascolto è davvero piacevole e piacciono diversi episodi come l’iniziale Bohemian Highway, l’evocativa The Spirit Of Death, la title track e la divertente I Feel In Love With The Grateful Dead. Sebbene la loro proposta musicale non presenti particolari spunti di originalità va lodato il loro approccio sincero e rigoroso alla musica roots, della quale sono interpreti impeccabili.

 

The Good Intentions - Someone Elses Time (Americana Music)
www.thegoodintentions.co.uk

Ormai non sorprende più vedere nuove band roots-rock sbocciare in Inghilterra, una delle più famose, almeno nella loro Liverpool, sono i Good Intentions, un trio di pura old time music composto da R Peter Davis (chitarre), Gabrielle Monk (autoharp) e Francesco Roskell (chitarre, banjo). Il loro nuovo album, Someone Else’s Time presenta undici brani originali composti da Davis e registrato tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, ed in particolare a Los Angeles e Nashville dove si sono trasferiti per raggiungere alcuni musicisti che hanno partecipato alle sessions come Brantley Kearns (violino), David Jackson (basso), e Rick Shea al dobro, il quale si è fatto carico anche della produzione. Mescolando country, folk, bluegrass e old time music, il disco presenta tutte le caratteristiche che ci si aspetterebbe da una produzione di questo tipo comprese eccellenti armonie vocali in cui le tre voci si intrecciano in modo assolutamente armonico ed elegante. Spaziando da ballate dolci a brani di impostazione più folk, brillano in particolare alcuni episodi come Black Train, The Cold Wind e la conclusiva The Sound Of Time Passing.

Poor Billy - Brother Wake Up (poorbillymusic)
www.poorbilly.dk

Attivi sin dagli anni novanta i danesi Poor Billy sono una band di buon talento che mescola il rock garage e il blues con accenti di new wave, ricalcando in larga parte lo stile dei Black Rebel Motorcycle Club. Brother Wake Up, è il loro secondo album e segue il loro debutto Moonlight Stranger del 2008 con il quale la band si è fatta conoscere anche in ambito internazionale. Rispetto all’esordio questo nuovo album presenta senza dubbio un sound più maturo che consente di valorizzare meglio le loro composizioni che ora ammiccano maggiormente al delta blues come dimostrano brani come l’iniziale Union Carbide, la title track, Bells Of China e Halleluja Riverboat nelle quali boogie rock e sonorità souther vanno a braccetto. A spiccare in modo particolare sono River’s Deep e Not That Davil che lasciano intendere quali saranno i futuri sviluppi della loro ricerca sonora, che ormai sembra pronta ad abbandonare i lidi della derivatività.

 

Simone Stevens - Right on Time (Autoprodotto)
www.simonestevensmusic.com

Fattasi conoscere con il progetto Fiery Blue nato in collaborazione con Paul Marsteller e Gabe Rhodes, la cantautrice newyorkese Simone Stevens debutta come solista con Right On Time disco che raccoglie undici brani autografi e una bella cover di Right In Time di Lucinda Williams. Prodotto da lei stessa in collaborazione con Nadim Issa (piano, organo, synt e percussioni), il disco è stato inciso con la collaborazione di alcuni ottimi musicisti come Greg McMullen (chitarre, lap e pedal steel), Bryan Bisordi (batteria), Jason Hogue (basso), Yan Izquierdo (violino), Ana Ruth Bermudez (cello), Jeff Hudgins (sax e clarinetto), Arman penn (chitarra e voce), Louis Sommer (basso, batteria e clarinetto), nonché le voci di Holly Laessing, Jess Wolfe e Kris Bauman con il quale canta Lady Luck. Sospesa e quasi indecisa tra l’imboccare sonorità rock o piuttosto il folk pop, la cantautrice newyorkese con questo disco ci regala comunque un buon disco di formazione nel quale la apprezziamo ora in duetto con il francese Armann Penn in Every Town Has A River, ora in qualche incursione nei suoni folk con ABC, ora ancora con la bella Dream. In buona sostanza, Right On Time ci lascia intendere che i numeri la Stevens ce li avrebbe tutti per ben figurare, starà a lei adesso capire qual è la direzione in cui muovere i prossimi passi.

 

Annis Brander - Glass People In The Woods (Lonely Road)
annisbrander.blogspot.com

Annis Brander è una cantautrice norvegese con alle spalle una lunga gavetta spesa in territori musicali diversificati e che propone un folk-rock dai toni pop che si dipana attraverso atmosfere elettro-acustiche dal buon potenziale radiofonico. Il suo secondo album Glass People In The Woods, ci svela una songwriter dalle grandi potenzialità e ormai alle porte della piena maturità artistica. Prodotto ed inciso con il contributo di Henrik Åström, che firma alcuni brani e suona piano, mandolino, banjo e chitarre, il disco è stato inciso con alcuni musicisti della scena norvegese e raccoglie dieci brani nelle quali si ha modo non solo di apprezzare la sua bella voce ma soprattutto alcune belle composizioni come More Than Ice Cream, caratterizzata da una originale e riuscitissima linea melodica, o le altrettanto belle Grace, Sweet Marianne e la più pop Burning Sky. Superati tutti i limiti delle autoproduzioni e ormai indirizzata verso un sound più marcatamente roots, la Brander con questo disco ipoteca in un certo senso il suo futuro, che senza dubbio sarà roseo se troverà un’etichetta che crede nelle sue potenzialità.

Jenai Huff - Transitions (Autoproduzione)
jenaihuffmusic.com

Dopo una lunga ed intensa carriera musicale spesa attraverso diverse formazioni locali, Jenai Huff giunge al suo debutto come solista con Transitions, disco che raccoglie undici ballate colorate di folk-rock, pop e accenti di West Coast. Prodotto con Ben Wisch, già produttore dell’esordio di Marc Cohn e inciso con la partecipazioni di diversi ottimi musicisti come Jeff Pever alla chitarra, questo album ci presenta una brava interprete capace di valorizzare tanto brani di cantautori noti al grande pubblico come Stevie Nicks della quale interpreta in modo eccellente Crystal, quanto di songwriter meno noti come il marito Doug Ingoldsby, ed Eugene Ruffolo. Durante l’ascolto si apprezza il suo ottimo approccio vocale in particolare nelle splendide Across the Great Divide di Kate Wolf e Words Fail You di Kris Delmorst, così come piacciono in generale gli arrangiamenti davvero molto curati ed eleganti. Ciò che non convince è piuttosto l’idea di base un po’ frammentaria e priva di una precisa linea progettuale. Si fa fatica insomma a comprendere le motivazioni di questo progetto discografico, la cui definizione migliore sarebbe quella di un regalo fatto a se stessa, giusto per placare le proprie velleità artistiche.

Stephen David Austin - A Bakersfield Dozen (Autoproduzione)
www.stephendavidaustin.com

La nostra esperienza ci ha insegnato che oltre una metà di dischi che affollano la scena country americana sono prodotti utili a promozionare gli artisti dal vivo e buoni ad essere venduti come ricordo dei loro concerti. In questa categoria si inserisce A Bakersfield Dozen, disco di debutto di Stephen David Austin, musicista non propriamente giovanissimo ma con alle spalle una lunghissima esperienza macinata in numerose bar band. Attorniato da alcuni musicisti della scena musicale di Los Angeles come Skip Edwards (fiddle) e Brantley Kearns (piano) entrambi provenienti dalla band di Dwight Yoakam, Shaun Nurse degli I See Hawaks in L.A. (batteria) e Marty Rifkin (steel guitar), il musicista americano ci dà un saggio di quella che è la sua ricetta musicale sospesa tra Buck Owens e Merle Haggard con l’aggiunta di una potente dose di hillbilly e honk tonk. Il risultato è un disco fatto con passione e mestiere che mescola testi ironici e qualche buono spunto roots come dimostrano Back To Bakersfield, The Day Buck Ownes Died, e Kansas Ain’t In Kansas Anymore, tuttavia nel complesso non arriva mai a convincere a pieno a causa di una latente sensazione di approssimazione. Non ci saremmo attesi nulla di nuovo, ma quanto meno non avrebbe guastato una maggiore cura in fase realizzativa. Un disco da acquistare dopo aver ballato la line dance in uno dei locali dove Stephen David Austin si esibisce abitualmente.

Tutte le recensioni sono a cura di  Salvatore Esposito