il popolodelblues

The state I'm in

Innocente nostalgia

19 novembre 2012 by pdb in The state I'm in

 

Una piccola amnesia mi ha portato alla scoperta di due siti web che non conoscevo e che mi hanno introdotto in una realtà che non immaginavo.

Da un po’ di giorni almanaccavo su cose che avevo scritto e prodotto tra la fine del ’60 e l’inizio del ’70, quando ancora la mia attività era fare il musicista, cercando di ricordare dove e come erano state realizzate.

Avevo dei buchi di memoria e così sono andato su Internet, digitando titoli e nomi, con la segreta speranza che qualcuno dei miei collaboratori dell’epoca avesse inserito qualcosa in merito.

Oggi la mia storia musicale può al massimo interessare me stesso, perciò non mi illudevo di trovare granché.

Invece, con grande sorpresa (e con piacere, lo ammetto), mi sono imbattuto in due siti che sapevano molte cose di me in quegli anni, non solo, ma descrivevano addirittura circostanze e fatti che io stesso avevo in parte dimenticato o ricordavo in maniera poco precisa.

A quel punto ho sentito il desiderio di mettermi in contatto con le persone che stavano dietro quel lavoro, se non altro per ringraziarle dell’attenzione nei miei confronti.

Prima però ho cominciato a sfogliare le pagine del primo sito e ho trovato centinaia e centinaia di nomi di artisti e gruppi che agivano appunto a fine ’60 e inizio ’70, tutti con il loro profilo, la loro storia, le loro incisioni: una cosa straordinaria, tanto da giustificare ancora di più la mia intenzione di contatto.

Ho rotto il ghiaccio via e-mail e da lì è cominciata una serie di messaggi reciproci.

Alla fine mi sono accorto che, a furia di domande e di risposte, era come se loro avessero intervistato me e io avessi intervistato loro e, per quanto da me raccolto,  qui di seguito ci sono le informazioni.

Intanto però, per chi fosse curioso di andare a controllare, mi sembra giusto dare i link di questi siti: classikrock.blogspot.it e xoomer.virgilio.it/bvfvma.

Si occupano ambedue di musica italiana, il primo soprattutto del progressive, il secondo principalmente del beat, ma comunque il raggio dei generi è ampio e comprende tutto ciò che ha sollevato un minimo di interesse negli anni 60 e 70 e, insieme ad artisti di grande successo, sono presi in considerazione miriadi di esecutori e di gruppi che hanno magari ballato una sola estate, approfittandone però per lasciare una scia che, se pur minima, ha avuto un significato ed ha arricchito il panorama musicale di quel periodo.

Responsabile del primo sito è John Nicolò Martyn, un personaggio incredibile con un buon passato artistico, divorato dalla passione per il progressive italiano a cui da anni dedica anima e corpo, uno che rischia di svenire dall’emozione ogni volta che si trova fra le mani un vinile raro da poter maneggiare, (ri)vedere e (ri)ascoltare.

John (che gestisce anche un accurato borsino dedicato al mercato dei vinili, assegnando ad ognuno la propia quotazione) è laureato in architettura e qualche anno fa ha scritto un libro cult, ormai introvabile ma che varrebbe la pena di ristampare, tanto è pieno di notizie, spunti, considerazioni e fatti. Gli è costato due anni di ricerche, si intitola “La luna sotto casa” e traccia la storia sociale di Milano dall’immediato dopoguerra agli anni 80, prendendo spunto dalla ristrutturazione urbanistica della città e descrivendo le varie stagioni dei movimenti giovanili, dalle bande di quartiere al punk, passando attraverso i Teddy Boys e l’esistenzialismo.

Il secondo è invece diretto da Alessio Marino (assistito da Massimiliano Bruno, con cui ho scambiato molte e-mail, apprezzandolo per la competenza e la cortesia).

Anche Alessio Marino è malato di musica e anch’egli è autore di libri.

Il sito si chiama “Beat Boutique 67 – Centro studi del beat italiano”, si trova in provincia di Alessandria e, se non ci si ferma alla prima pagina, ci si accorge che chiamarlo centro del beat è riduttivo in quanto, oltre a trattare il genere principale, affronta anche quelli nati prima e dopo, raccogliendo e catalogando  audio, video, stampa, oggetti, ecc., girando intorno al beat e toccando pop, psichedelia, r&b e altro.

Beat Boutique stampa anche una rivista periodica in tiratura limitata, che riporta a volte interviste a personaggi quasi impossibili da rintracciare (ma Alessio ci riesce e a volte arriva anche a corredare gli scritti con foto che nessuno ha mai visto), tutto questo molto spesso ai confini della perdita economica: ma questo non conta, pur di soddisfare l’impegno nei confronti degli appassionati.

Potrebbe sembrare che io stia facendo un pistolotto promozionale per queste due iniziative e invece ne parlo volentieri perché intanto fanno orgogliosamente sapere a tutti che anche in Italia, a suo tempo, si è fatto del rock e del beat di qualità e poi, cosa da non sottovalutare, costituiscono una fonte di utile informazione che fa capire quanta acqua è passata sotto i ponti da quando i musicisti scrivevano canzoni che, al di là dell’ingenuità di molti testi,  nelle loro intenzioni avrebbero dovuto dare un contributo per migliorare il mondo.

In effetti e pensandoci bene, un conto è un ventenne capelluto e magari un po’ trasandato che invita a mettere dei fiori nei cannoni e un altro è un bambino di otto anni, tutto lucidato e con cravatta di seta, che a squarciagola grida “Un amore così graandeee…”.

Indipendentemente tuttavia dalla scelta che ognuno può fare, è vero che negli anni 70 si respirava un’atmosfera di creatività continua, favorita certamente anche dal fatto che la crisi era ancora ben lontana dal venire e le case discografiche, anche le minori, quando avevano in mano un artista o un gruppo che aveva qualcosa da dire, non ci pensavano due volte e stampavano almeno un singolo per vedere come andava a finire.

Con l’eccezione forse di una sola indipendente italiana, oggi a fare la guerra sono rimaste le multinazionali, che stanno in piedi grazie anche al loro grande catalogo e, nella maggior parte dei casi, le giovani promesse sulle quali puntare le reclutano da “X Factor” e “Amici” (e qualche volta, purtroppo, anche da “Ti lascio una canzone”), tenendo conto anche del vantaggio che i nuovi talenti sono  già conosciuti dal pubblico televisivo e perciò si risparmia sulla promozione.

Ecco: a chi ricorda quegli anni e a chi non li ha vissuti e li vorrebbe capire, consiglierei una visita ai due siti che ho citato.

Vi troveranno materiale in abbondanza per rendersi conto del fervore che c’era nell’aria e di quanto le cose adesso siano cambiate: gli appassionati più avanti in età magari con un po’ di innocente nostalgia, giustificata dai ricordi di quel tempo; i più giovani, invece, per conoscere meglio un periodo ricco di iniziative e di spirito pionieristico che oggi si è perso.

Dopo di che, ognuno tirerà le sue conclusioni e deciderà quale approccio preferire, se quello del passato, magari un po’ disordinato ma genuino, oppure quello attuale, che molte volte usa la calcolatrice e mette il marketing davanti all’emozione.

 

Rinaldo Prandoni

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