Masterpieces from the past on stage with one of his heroes. Peter Hook and the Joy Division sound
A oltre 30 anni dalla scomparsa del leader Ian Curtis, le note dei Joy Division risuonano grazie a Peter Hook con i suoi The Light. Il bassista e co-fondatore dell’indimenticata formazione che, dopo il suicidio del cantante, si trasformò in New Order. Peter Hook sta proponendo in tour i brani di Unknown Pleasures, primo e fondamentale album del gruppo di Manchester, e altri pezzi dei Joy Division. Il Popolo del Blues lo ha incontrato in occasione della sua data di Firenze.
Il suo concerto è focalizzato su un album divenuto un classico. Ci può raccontare come i Joy Division crearono il disco nel 1979?
«In pratica è stato abbastanza semplice. Avevamo realizzato il nostro Ep di debutto, An ideal for living, che aveva quattro tracce. Così il passo successivo fu quello di andare in studio e registrare il nostro primo disco a lunga durata. Come musicisti eravamo cresciuti molto a quel punto e iniziammo a capire che avevamo delle belle canzoni da incidere. È curioso perché Bernard Summer e io volevamo un suono più legato al punk, che suonasse come i Sex Pistols, dato che l’atmosfera musicale era quella. Il produttore Martin Hannet invece non voleva un disco del genere e gli diede una sonorità completamente differente. Ovviamente eravamo tutt’altro che contenti, ma con il passare degli anni abbiamo capito che noi avevamo torto e Martin aveva ragione».
Dopo tutti questi anni il suo obiettivo attuale è quello di ricreare i brani o di mantenere lo spirito originale dell’album?
«Sono un po’ preoccupato dal fatto che la maggior parte del pubblico venga ai nostri concerti senza aver visto i Joy Division dal vivo, dato che quel gruppo è esistito per soli due anni circa. Oltretutto lo abbiamo fatto professionalmente per sei mesi, sempre che si possa parlare di professionismo essendo pagati sette sterline a settimana. Detto questo, penso che le stesse persone non conoscano bene Unknown Pleasures, quindi voglio essere il più fedele possibile all’album».
Quando decideste di inziare l’esperienza dei New Order, volevate fare qualcosa di diverso dai Joy Division o è stata un’evoluzione naturale della vostra musica?
«Ovviamente all’inizio dei New Order era tutto complicato perché Ian Curtis non era più con noi. Avevamo perso non solo un leader ma anche un amico. Ian era il tipo che avrebbe voluto partecipare alle nostre sessioni e scegliere le parti migliori dicendo: “Hooky, suonala di nuovo” oppure “Bernard, fammi due volte quel riff” o “Steve, fai qualcosa jungle style sulla batteria”. Così quando partì la storia dei New Order ci sentivamo un po’ persi. Penso che sia stata fatalmente un’evoluzione: eravamo tutti interessati alla musica elettronica e penso che se anche Ian non fosse morto avremmo comunque scelto quella strada che poi i New Order hanno percorso».
Recentemente la rivista Mojo ha pubblicato un tributo ai brani dei New Order, che impressione le ha fatto sentire la propria musica reinterpretata da giovani esecutori?
«Penso che sia stato un complimento fantastico a tutti noi: alla fine abbiamo creato belle canzoni che ancora ispirano una nuova generazione di persone trent’anni dopo averli scritti. E’ una grande sensazione percepire che giovani musicisti guardano al tuo esempio così come mio piace vedere un pubblico giovane ai nostri concerti. Pensi che in Italia abbiamo già fatto tante date e anche da voi abbiamo tanti fans delle ultime generazioni . Ogni volta non vedo l’ora di tornare perché mi piace vederli tra il pubblico».
Lei è molto conosciuto per le sue sonorità. Quale tipo di basso suona abitualmente?
«Uso sia il basso a 4 corde sia quello a 6. Mi sono sempre piaciuti gli Yamaha e il mio preferito è il modello BB1200S, mentre per le 6 corde ho lo Shergold Marathon. Entrambi in questo concerto sono suonati da mio figlio Jack, bassista anche lui. Invece quando vado in tour ne uso uno costruito su misura chiamato Viking appositamente dal liutaio inglese Chris Eccleshall».
Ci può introdurre la sua band?
«Ho già citato Jack che non solo è un ottimo bassista, fa un grande lavoro sul palco ed è curioso il fatto che quando ha iniziato nel 2010 aveva la stessa età (21 anni) di quando io ho inciso Unknown Pleasures, e parallelamente ha seguito la mia evoluzione quando per la prima volta ha suonato Closer e Still a 22 e 23 anni come me. È molto strano ma è bello averlo con me. Il chitarrista Nat Watson è assolutamente fantastico, suonava in una band chiamata Haven e mi ha anche aiutato nell’album Freebass che ho inciso con Mani degli Stone Roses e Andy Rourke degli Smiths. A batteria e tastiere ho Paul Kehoe e Andy Poole, due eccellenti musicisti che sono stati con me nei Monaco. Si tratta del gruppo che ho formato quando i New Order si sciolsero la prima volta. E’ bello essere in tour insieme con loro, ci mettono grande passione nel fare in modo che i brani siano eseguiti al meglio».
Michele Manzotti
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