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Interviste

Michele Manzotti racconta a Londra gli Swingle Singers

26 gennaio 2013 by Giulia Nuti in Interviste, News

Michele Manzotti, giornalista e musicologo, direttore del sito internet il Popolo del Blues, è protagonista il 26 gennaio 2013 all’interno del London a Cappella Festival di Londra con una conferenza dedicata agli Swingle Singers. Il festival è una prestigiosa tre giorni di concerti con workshop e incontri organizzato al King’s Place dagli Swingle Singers in collaborazione con Ikon Arts Management.

Facciamo i migliori auguri al nostro direttore e cogliamo l’occasione per pubblicare un’intervista inedita a Joanna Goldsmith Eteson (soprano) e Oliver Griffiths (tenore) degli Swingle Singers realizzata da Giulia Nuti.

Gli Swingle Singers sono nati molti anni fa ma procedono come un vero e proprio brand. Come è farne parte?

Oliver Griffiths : E’ molto bello perché beneficiamo di 50 anni di storia, musica, contatti in tutto il mondo che ognuno di noi eredita. Allo stesso tempo il gruppo si è sempre posto in prima linea sul fronte della musica a cappella, quindi c’è costantemente l’aspettativa che ogni line up diverso proporrà qualcosa di alternativo e emozionante.

Il gruppo ha anche un lato sperimentale, oltre alla storia?

OG: Si, non ci piace prendere un brano e riproporlo uguale, cerchiamo sempre l’originalità e inoltre c’è un lato del gruppo che non è radicato nella musica pop ma in quella contemporanea e d’avanguardia.

 Com’è passare da un aspetto all’altro, dal rock alla classica?

Joanna Goldsmith Eteson: E’ molto bello perché ogni volta, passare da un repertorio all’altro, permette di guardare ogni programma che si fa con occhi sempre nuovi.

OG: Sono d’accordo. Berio ha scritto per noi una sinfonia e la suoniamo tre o quattro volte all’anno a ogni volta, affrontandola con diverse orchestre e musicisti, è un’esperienza nuova

Avete trovato un filo conduttore musicale per collegare tutto quello che fate?

OG: Si, esplorare il limite più estremo di quello che è possibile fare con la voce umana.

Quello dell’uso della musica come uno strumento è un aspetto fondamentale…

OG: Come gruppo ci piace sperimentare con la nostra voce. Può accadere a un soundcheck come nel retro di un pullman viaggiando. Se qualcuno trova un suono che ci piace, lavoriamo proprio a partire da quel suono fino ad ottenere qualcosa che possiamo riproporre anche in concerto. Ci sono molte potenzialità nella voce, dall’estensione al tono, dalle dinamiche al controllo espressivo. Questa è una caratteristica unica dello strumento voce e con gli Swingle Singers cerchiamo proprio di trattare la voce come uno strumento.

I membri del gruppo hanno sempre delle peculiarità: chi sa cantare in basso, chi in alto, chi usare la voce come uno strumento a percussione… ognuno deve avere una tecnica specifica.

JGE: Un altro aspetto che mi piace molto è che spesso con la voce cerchiamo proprio di imitare gli strumenti veri.. L’uso di molte voci insieme, anche se di per sé nessuno imita uno specifico strumento, può creare l’effetto di uno strumento piuttosto che un altro.

OG: è vero, ad esempio facciamo una versione di River Man di Nick Drake dove c’è la parte di una chitarra. Nessuno di noi vuole imitare la chitarra, ma la parte ritmica nel complesso, con la somma delle voci, dà l’impressione di ascoltare una chitarra. Con otto voci insieme non è possibile percepire tutto in modo distinto, quindi il cervello riempie il vuoto e ottiene un’impressione.

 Forse questo è proprio il segreto…si ascolta dal vivo un ensemble vocale ma si percepisce molto di più..

OG: A volte suoniamo dal vivo e le persone ci chiedono se abbiamo suonato su una base. Invece no, quello che facciamo è sempre esclusivamente vocale… ma mi è capitato di trovare gente che addirittura non ci credeva.

JGE: Lavoriamo molto sugli arrangiamenti. Abbiamo la fortuna di avere alle nostre spalle cinquant’anni di repertorio, ogni volta che vogliamo fare un brano possiamo attingere alla nostra biblioteca. Allo stesso tempo cerchiamo di rendere ogni brano nuovo ogni volta e di adattarlo alla nostra formazione sfruttando le caratteristiche del line up del momento

OG: Ed esempio, recentemente abbiamo arrangiato un brano degli Elbow. Uno di noi è arrivato alle prove già con l’arrangiamento pronto, eppure è solo durante la prova che abbiamo sviluppato la versione definitiva. Abbiamo cambiato le parti, distribuito diversamente la parti tra le voci, modificato la struttura. E’ un approccio collaborativo e solo attraverso ad esso si giunge al risultato finale.

Un approccio che si trova anche nell’album Ferris Wheels?

JGE: Assolutamente si, specialmente declinato attraverso la scelta di un repertorio moderno che include Green Day, Bjork, Joni Mitchell.. un disco che rappresenta gli Swingle Singers per quello che sono in questo momento. Inoltre in tutte le canzoni ci sono i testi, non sono solo brani vocali strumentali come invece è accaduto in passato.

È una sorta di concept album: sono tutti brani cantautrali, ogni brano è tra i preferiti di qualcuno del gruppo e inoltre abbiamo scelto autori celebri ma cercato di evitare le scelte troppo scontate all’interno della loro discografia.

Come è suonare questi brani dal vivo?

OG: Ci piace giocare sulle aspettative della gente. A volte viene qualcuno che dice vi ho visto 40 anni fa… però le persone sono molto aperte anche nei confronti del nuovo repertorio

Questo è un aspetto molto bello perchém come dicevamo all’inizio, mantenete il brand ma allo stesso tempo lo rinnovate

OG: Si ma, in fondo, questo è ciò che gli Swingle Singers hanno sempre fatto

Quando sono nati hanno contaminato i brani classici con lo swing, qualcosa che nessuno aveva mai fatto, ed è proprio questo il motivo per cui hanno vinto un Grammy Award

il gruppo si è sempre spinto avanti guardando alla sperimentazione e al futuro e questo cinquant’anni più tardi, è ciò che anche noi vogliamo continuare a fare.

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