L’apparenza inganna (ovvero: come Little Tony diventò un rocker)
All’inizio degli ani 60, in un giorno di primavera in cui mi trovavo a Firenze, sull’angolo di una piazza vidi un capannello di persone. Incuriosito, mi avvicinai e scoprii che l’attenzione era focalizzata su un personaggio già molto noto nell’ambiente musicale: si trattava di Little Tony, che poteva avere allora 21 o 22 anni.
Elegantissimo in polo blu e pantaloni bianchi, era appoggiato alla sua MG rossa, una spider di gran spolvero a quell’epoca, e parlava con un amico, dispensando smaglianti sorrisi a chi lo stava guardando. Un ragazzo della sua età, di bell’aspetto, di successo, che guadagnava abbondantemente sopra la media e aveva ammiratrici a frotte, oltre che curiosità avrebbe potuto destare anche un po’ di invidia. Eppure, chi gli stava intorno sono certo che provasse istintiva simpatia per quel giovane dall’atteggiamento spontaneo e naturale, quasi fosse sottinteso che uno come lui dovesse avere quello che aveva.
Non ebbi più modo di incontrarlo, ma seguii con la stessa simpatia di quel giorno la sua carriera, e il giorno della sua scomparsa provai un sincero dispiacere. A volte mi sono chiesto se fosse giusto per lui avere un posto di rilievo nel rock italiano e oggi ho fatto mente locale per arrivare ad una conclusione, a titolo strettamente personale. Sono partito dal presupposto che, nell’immaginario collettivo, un rockman o un bluesman duri e puri, per essere tali, dovrebbero avere una filosofia di vita e un’immagine il più possibile aderenti allo stile di musica rappresentato: per esempio, vivere in maniera anticonformista, vestire molto casual e altre amenità di questo tipo. Rifacendosi a questi stereotipi e stando all’apparenza, Little Tony forse avrebbe potuto essere classificato come una pop star per un pubblico di giovani bene.
Anche se aveva una venerazione per Elvis, sembrava che la esprimesse soprattutto nel copiarne l’abbigliamento, facendo attenzione che fosse sempre perfetto e realizzato con gran cura: vocalmente infatti il suo amico e rivale Bobby Solo era più vicino di lui al maestro. E allora, mi sono chiesto, come mai il piccolo Tony divenne un’icona rock in Italia? Sono arrivato alla conclusione che lo spinse anzitutto l’amore che nutriva per quel genere musicale, e poi la genuina convinzione di appartenervi: era certo di avere il rock dentro di sé e nessuno poteva rubarglielo o farglielo dimenticare.
Per rendersene conto, bastava assistere ad uno dei suoi concerti: la band, guidata dal fratello Enrico, dimostrava di avere il ritmo in testa e nelle mani e lui, in mezzo alle canzoni portate al successo, infilava volentieri dei classici rock’n'roll americani da far saltare il pubblico sulle sedie. Ecco quindi come un ragazzo carino, beneducato, perfezionista e innamorato delle belle auto, dedicandosi con passione alla sua musica preferita ha fatto dimenticare l’apparenza e ha ottenuto ad honorem la carica di rocker, mantenendola intatta per decenni.
Arrivato a queste considerazioni, ben sapendo di scontentare gli integralisti, ho concluso che anche a me sta bene che Little Tony sia annoverato fra i rockmen nostrani e dico bravo a lui e a tutti quelli che, a volte anche loro smentendo l’aspetto esteriore, si portano dentro la passione per questa musica, contribuendo a diffonderla e a tenerne vivo lo spirito. E a questo punto mi sembra giusto chiudere con una esclamazione magari ovvia ma bellissima per noi appassionati: viva sempre il blues e viva sempre il rock!
Rinaldo Prandoni
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