Mike Whellans (c) Alistair Mulhearn Photography
Si presenta sul palco da solo. Non ha infatti bisogno d’altro nelle sue esibizioni dal vivo, perché fa tutto da solo. E suona il blues come Dio comanda. Ma non è nato né a Chicago, né a New Orleans, né nell’Inghilterra che negli anni sessanta ha mutuato dall’America il più autentico suono blues. No, Mike Whellans è scozzese. La sua musica è quasi totalmente eseguita da lui stesso: alla chitarra, all’armonica e alle percussioni oltre che alla voce. Il padre Bobby era un apprezzato batterista jazz e il primo strumento al quale Mike si è avvicinato è stato proprio il kit della batteria del genitore, facendo il suo apprendistato in feste e matrimoni. Poi negli anni ’60 si è unito ad altri musicisti, prima Aly Bain, poi Cathal McConnell e Robin Morton per formare il gruppo Boys of The Lough, suonando nel circuito dei college, club e facendo le prime apparizioni in radio e tv. Dopo un periodo di esperienza solista in Danimarca è arrivata la svolta verso il blues. Dapprima in duo con l’amico chitarrista Colin Browne e quindi con i vecchi compagni della jug e skiffle band The Vindscreen Vipers. Gli anni ’80 hanno visto Whellans suonare in tutta Europa perfezionando il suo stile di One Man Blues Band. Tra le sue influenze John Lee Hooker, Duster Bennett e Jimmy Reed.
Almost 42nd Street (Temple Records) è un album del 2003 che mostra in modo evidente lo stile di Whellans. Sono 14 tracce che lo vedono affrontare tutti gli strumenti con Graham Scott ospite al pianoforte. Cinque brani sono scritti da lui stesso, mentre i restanti sono interpretazioni non solo dei modelli citati in precedenza ma anche di Woody Guthrie (When the Curfew Blows), Willie McTell (Warm it Up to Me), Willie Dixon (Meet me at the Bottom). Un disco di grande divertimento ed energia, tipiche di coloro che fanno tutto da soli. L’armonica è forse lo strumento che caratterizza maggiormente il musicista scozzese, usata sia come mezzo per virtuosismi, sia come elemento dialogante con la voce.
Un percorso continuato anche con Fired-Up & Ready (Temple Records, 2008) anche se in questo caso le sonorità sono più ricche grazie alla maggiore presenza di ospiti. Il blues assume anche connotati più rock (c’è anche Going To My Home Town di Rory Gallagher) per non dimenticare la contaminazione con il folk scozzese dovuta anche alla presenza di componenti della Battlefield Band. Ma il suono rimane puramente blues per tutto il disco (si ascoltino The Boogie Man, Lonesome Road, Winding Track) con la voce sempre più autorevole in un contesto strumentale efficace anche nella sua essenzialità. Fired-Up & Ready sa farsi ascoltare senza alcun cedimento dall’inizio alla fine e lascia la voglia di vedere un’esibizione live di Whellans, magari nella sua Scozia. Speriamo però che questo sia possibile anche in Italia in tempi brevi.
Michele Manzotti
www.mikewhellans.com www.templerecords.co.uk
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