Il Popolo del Blues ricorda Lou Reed riproponendo questa breve intervista di Ernesto de Pascale, pubblicata su questo sito nel Luglio del 2006
Lou Reed e New York. Città che non ha mai abbandonato né tradito, di cui è facilmente oggi identificabile come ambasciatore. Personaggio imperturbabile sin dai tempi dei velvet Underground, la formazione legata a Andy Warhol e a quella art rock che nella Grande Mela vive ancora oggi di luce prorpia nei quartieri di Chelsea e dell’East Village. E ancora oggi Lou Reed non potrà che prendere la sua chitarra per cantare la sua storia e quella dei balordi dei marciapiedi di New York City. Ed è proprio nella città americana che abbiamo potuto incontrarlo, con il suo consueto sguardo imperturbabile, prima del suo arrivo in Italia.
Una carriera come la sua deve aver avuto un momento in cui è arrivato uno stimolo importante per cominciare. «Era il 1957: ascoltavo il dj Alan Freed che da qualche anno trasmetteva a Philadelphia il suo Moondog rock & roll show e non so se sia vero o meno, ma fu in quella trasmissione che venne pronunciata per la prima volta quella parola magica, Rock & roll. Tanto che quando Freed venne a lavorare a New York City fu una vera rivoluzione!»
Come mai? «Mai sentito una voce così consona a quella musica: e che musica: Chuck Berry, Little Richard e poi tanti gruppi minori e le formazioni vocali di Doo Woop che abitavano fi là dal ponte ma nessun bianco conosceva e Alan Freed ebbe la perseveranza di far conoscere a tutti».
Possiamo dire che è stato il suo ispiratore?
«Sì, perché aveva quello stile unico che ti faceva voglia di ballare e i dischi suonati 2, 3, 4 volte proprio come a casa. Quando con il suo spettacolo di tutte stelle scese al Paramount Theatre c’era la coda per i biglietti dal giorno prima e io non persi neanche una replica. Fu in quella teatro che scoprì l’impatto del Rock & roll sulla gente e che vidi Screamin Jay Hawkins uscire da una bara nell’ilarità generale…» Una volta disse che questo genere può salvare la vita delle persone. «Certo, il Rock & roll parla dello spirito del cuore e quando ascolti qualcosa di grande una musica come quella ti può illuminare. La musica è strana, onde sonore, parole, movimento. Quando è fatta con il cuore però non serve essere preparati per ascoltarla. È una delle grandi lezioni della vita».
Dopo tanti anni sul palco ha fatto il punto di tutto ciò che ha fatto, pensando cosa può fare ancora? «È ovvio, non sono più quello di una volta e non posso essere interessato a quello che mi interessava anni fa. Ho aperto la mia mente, come speravo che mi succedesse, pronto a godere di tante cose che New York mette a disposizione. È una città per tutti i gusti: qui posso trovare cose impensabili per una piccola città. Istruttori di arti marziali (da tempo Reed pratica il Kung Fu tanto da essere stato messi in coperttina nelle riviste specializzate del settore, ndr), erboristerie cinesi, prime di teatro e musica». Perchè il suo istruttore di arti marziali sul palco nella sua ultima tournee europea “Per darmi energia”. Tre anni fa suonò a Pisa, torna volentieri in Italia?
«È uno dei pochi posti in cui forse mi potrei trasferire. Ripenso a quando fui invitato da Pavarotti a Modena. Da quelle parti sarei felice soltanto per mangiare sempre quello che ho potuto solo assaggiare!»
Pochi mesi fa è tornato in Italia per una lunga serie di date iniziate con l’inaugurazione delle olimpiadi e conclusasi al sud. Ci sono state molte polemiche. Ne è a conoscenza? “Non mi interessano. Faccio la mia musica, sono un artigiano, prigioniero del rock & roll”.
Ernesto de Pascale
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