(Giunti) Pagine: 240, Prezzo: 24,50 €
Non è un’impresa facile, narrare una storia leggendaria come quella degli ex ragazzi della Charterhouse passati – non senza qualche riluttanza – al mondo del pop dopo una durissima gavetta che li vide muovere i primi passi nelle aule scolastiche, alle feste dei vicini di casa dei genitori, sui palchi locali con platee spesso inesistenti. O ancora come gruppo spalla di band più celebri di loro – ma molto presto raggiunte e surclassate -, con un elemento fondamentale perso già al secondo album e con un pubblico, quello anglosassone, che non cedeva alla passione incondizionata per loro – al contrario degli italiani e di pochi altri popoli “continentali” – in quanto al tempo accusati di difettare nel rock’n’roll nudo e crudo, al tempo una conditio sine qua non per sfondare nel loro paese di origine. O infine, dopo aver consegnato alla storia del rock una buona manciata di album fondamentali per creatività e bellezza artistica, vedersi aggettivati come “finiti” da buona parte della stampa internazionale in seguito all’abbandono da parte del loro leader istrionico e carismatico. Non ci vuole molto per capire che stiamo parlando dei Genesis dell’era Peter Gabriel (1969-1975) e la missione impossibile della narrazione non è dovuta soltanto al fatto che quasi un lustro fa il fotografo Armando Gallo ci avesse già descritto le prime gesta di Banks, Gabriel, Phillips, Rutherford, Hackett e Collins in un paio di volumi ormai consumati dal tempo e per fortuna vicini all’ingresso nell’era moderna con tanto di versione digitale. La difficoltà sta nel come si racconta oggi questa storia leggendaria, sia ai giovani che si avvicinano al rock che ai più longevi appassionati ormai abituati a tante pubblicazioni sulla band inglese. Mario Giammetti è già sulla carta la persona adatta: maggiore studioso mondiale del gruppo, autore di “Genesis. Il fiume del costante cambiamento” (Editori Riuniti, 2004) e “Musical Box. Le canzoni dei Genesis dalla A alla Z” (Arcana, 2011, già recensito sul Popolo del Blues), oltre a una serie di biografie in via di completamento su ogni singolo elemento della band e alla sua fanzine storica, “Dusk”, che rimane a tutt’oggi l’unica pubblicazione cartacea al mondo sui Genesis. In effetti l’autore non vive certo sugli allori e – più da fan appassionato n.1 che da giornalista costretto ad inventarsi una maniera nuova per esporre l’argomento – ha escogitato quello che appare subito come il volume più originale, dettagliato e omnicomprensivo sul cosiddetto “periodo prog” (o “era Gabriel”) del gruppo britannico. Originale per l’idea base, interviste ad hoc su ogni album agli elementi della band, riascolto dei dischi insieme a loro con tanto di ricordi, aneddoti e valutazioni rilasciate in maniera del tutto informale. Originale anche perché è la prima volta che Tony Banks scrive di suo pugno una prefazione a un libro sui Genesis, rivelando tra l’altro la sua predilezione assoluta per brani come “Stagnation”, “The Musical Box”, “The Fountain Of Salmacis” e “Watcher Of The Skies”, di cui ricorda con emozione un’esecuzione dal vivo “a Siena al Palasport…prima ancora di averla registrata…l’introduzione sembrava davvero grandiosa in quella location dall’eco grandiosa…” Volume dettagliato per gli elenchi e per l’impaginazione: ogni album del periodo prog – da “From Genesis To Revelation” a “The Lamb Lies Down On Broadway” – ha una scheda critica con analisi di canzoni e testi, il relativo tour è poi listato storicamente con dettagli curiosi sui singoli concerti più memorabili. Variazioni delle scalette, problemi tecnici, travestimenti in scena, reazione del pubblico, in particolare quello italiano, una specie di “dodicesimo in campo” negli spettacoli dei Genesis. Infine libro omnicomprensivo perché soprattutto visivamente non lascia nulla di intentato e offre una panoramica in buona parte inedita su ciò che graficamente girava intorno al mondo della band tra il 1969 e il 1975: flyers improbabili a volte con errori addirittura nello spelling del nome del gruppo, altre volte realizzati con una grafica psichedelica molto creativa, in pieno stile anni ’70, fotografie di scena ma viste prima che gettano una luce più umana sui protagonisti, spesso visti e rivisti in tante immagini promozionali o d’autore. Qui, grazie anche al contributo dell’immensa cerchia dei fan internazionali connessi da anni al lavoro di Giammetti, possiamo osservare – tra i tanti scatti – i Genesis al primo matrimonio di Steve Hackett, o Banks e Gabriel con relative consorti in spiaggia a Viareggio nel 1972, o ancora lo stesso Peter mentre si trucca in camerino a Reggio Emilia nel 1974. Chicche uniche ma sempre estremamente funzionali al racconto, così come gli aneddoti più tecnici rivelati dagli stessi protagonisti. Uno tra i tanti per concludere: sia Tony Banks che Mike Rutherford gettano luce sulle session dell’album “Trespass”, confessando il reciproco nervosismo di quelle sedute e giustificandolo col fatto che ogni singolo errore causava il riavvolgimento del nastro dall’inizio, in quanto erano disponibili soltanto otto tracce, poche per le tante sovraincisioni di chitarre acustiche e a 12 corde. Nelle parole di Mike Rutherford, “se facevi un errore in un brano da 12 minuti…dovevi suonare tutto daccapo fino al punto in cui ti eri sbagliato”. Un libro da assaporare lentamente, questo di Mario Giammetti, in modo anche da fornirgli il tempo necessario per valutare una questione fondamentale: i successivi album dei Genesis, da “A Trick Of the Tail” (1976) a “Duke” (1980) possiamo in parte definire prog anche questi, almeno i primi due o tre? In quel caso non resisteremmo alla tentazione di leggere un trattamento simile anche su quelli. Dentro di noi sappiamo che Mario ci ha già pensato, magari condividendo l’idea…
Francesco Gazzara
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