(Esoteric Antenna / Audioglobe)
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La storia dei Soft Machine è una delle più appassionanti della storia della musica d’avanguardia e popolare al tempo stesso. L’epopea della formazione ha fatto in modo innanzitutto che Canterbury, città di origine del primo nucleo di musicisti alla fine degli anni ’60, divenisse la capitale di un suono riconoscibile dove elementi jazz venivano innestati nel rock. Inoltre sotto il marchio Soft Machine sono passati un gran numero di strumentisti di grande valore, da Robert Wyatt a Daevid Allen, Kevin Ayers, Hugh Hopper le cui vicende si sono poi intersecate con quelle di altri gruppi divenuti di culto come Nucleus e Gong. La fine della formazione è del 1979, ma nel 2002 nacque l’esperienza Soft Works che poi si è evoluta nei Soft Machine Legacy. Un quartetto che attualmente vede tre ex, il batterista John Marshall, il chitarrista John Etheridge, il bassista Roy Babbingon, e Theo Travis, già con i Gong. Burden of Proof è il titolo per l’etichetta Esoteric (distribuita in Italia da Audioglobe), che nella sua passata storia societaria si chiamava Eclectic, nata per recuperare proprio il patrimonio dei gruppi della scuola di Canterbury come Caravan e Audience. La scommessa dei quattro musicisti era quella di portare avanti un suono che non facesse rimpiangere le creazioni che fanno parte delle collezioni di vinile di tanti appassionati. Ma il suono dei Machine guardava già a suo tempo, forse inconsapevolmente, verso il futuro. Quindi è stato quasi normale per i Legacy proseguire sulla stessa strada. Senza indugiare in virtuosismi autocelebrativi, ma dando l’impressione di lavorare con una grande disciplina di gruppo. C’è un doveroso omaggio allo scomparso Hugh Hopper (la rarefatta Kings and Queens), con gran parte delle composizioni firmate da Etheridge (come Pump Room, costruita su una base rock, e Pie Chart dall’anima blues) e da Travis (la cantabile Voyage Beyond Seven e Black and Crimson, dalle improvvisazioni di ottimo livello). Ci sono soprattutto strumentisti in forma eccellente che possono fregiarsi del nome Soft Machine a testa alta.
Michele Manzotti
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