A sentire il suo nome non sembrerebbe islandese. Eppure Emiliana Torrini è nata nell’isola dei vulcani, dei geyser e di tanti altri musicisti dove il padre si era trasferito per aprire un ristorante. Cantante e autrice, ha trovato la sua casa musicale in Inghilterra, ma ha sempre tenuto un legame molto stretto con il suo paese. A cinque anni di distanza da Me and Armini, Emiliana Torrini ha inciso Tookah (Rough Trade/Self), disco dove un pop indipendente si sposa con la dance ma anche con atmosfere acustiche. In attesa di vederla in Italia (unica data l’11 novembre ai Magazzini Generali di Milano), la musicista racconta la genesi dell’album.
Cosa vuole dire Tookah, è un’espressione scelta a caso o ha un significato nella sua lingua o in altre?
«E’ una parola inventata che rappresenta l’essenza di ciascuno di noi, ovvero te stesso allo stato puro . Diciamo può che simboleggiare uno stato d’animo: una cosa che si fa strada quando lavoro e nel farlo mi sento bene, allora è Tookah. Qualcosa che ti connette con il resto del mondo. E’ un sentimento positivo»
Ascoltando il disco si direbbe che si è divertita molto sia nel comporre sia nell’interpretare i suoi brani. E’ così?
«Più che altro è stato un disco che per me ha simboleggiato una sfida ad alcuni anni di distanza dall’album precedente. Una continua ricerca delle sonorità compiuta insieme al mio assistente Dan Carey e quindi la scoperta di come le canzoni venivano fuori sommando le varie idee musicali. Mi sono divertita sicuramente, ma vincendo la sfida».
Nel disco ci sono due tipologie di brani, quelli da ascoltare vicino al caminetto e quelli da ballare. Come mai?
«Ovviamente è una questione di stati d’animo differenti e questo non può che riflettersi sulla scrittura. Comunque questo album nasce da sensazioni positive che hanno portato alla nascita delle canzoni che ne fanno parte. Nelle canzoni più ballabili ero più felice del solito durante la composizione».
Lei è italiana da parte di padre. C’è qualcosa del nostro paese nella sua musica? Oppure si sente completamente islandese?
«Non ho mai fatto della mia musica una questione puramente nazionale. Certo sono nata in Islanda e scrivo in inglese. Però penso che ciò che scrivo rappresenti eclusivamente me stessa».
Proprio l’Islanda è stato uno dei primissimi paesi a dover fare i conti con la crisi economica mondiale. Come ha reagito la scena musicale a questo avvenimento?
«E’ sicuramente stato un grande choc trovarsi improvvisamente con l’economia e la vita di tutti i giorni cambiare radicalmente. Eppure tutti quanti, musicisti in testa, hanno trovato il modo di saper andare avanti come era giusto fare».
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