Ernesto de Pascale (c) Marco Quinti
Il primo vinile 33 giri che ricordo d’aver comprato fu “Johnny Winter And” Live, in un negozio storico della Firenze degli anni 60-70, Diskemporium, e lo pagai la favolosa cifra di 3300 lire, grosso modo 80 bicchieri di spuma bionda, drink molto popolare all’epoca (all’incirca 1971) tra gli adolescenti. Si scivolava sui sanpietrini in centro quando pioveva, e nei miei ricordi quel disco lo comprai di pomeriggio, in inverno, e il Diskemporium stava in una stradina dietro piazza del Duomo, via dello Studio. Probabilmente pagai quella cifra anche con qualche biglietto da 500 lire cartaceo, di quelli che rimpiazzavano – illegalmente – la valuta mancante. Senza far torto ad altri negozi illustri, per esempio il vecchio Ricordi, dove comprai qualche disco di Zappa, il Sala Disco di via Zannetti, una contrada di via Cerretani, che sarebbe diventata la nostra base per diversi anni, Nardi in via Gioberti, il Diskemporium era un luogo “cult”, vecchio e passabilmente polveroso, tenuto da una coppia di signori passabilmente anziani. Scomparse anche rapidamente il Diskemporium, ma oggi con la moda “vintage” sarebbe stato un successone. A casa avevo già “Lizard” dei King Crimson, il primo di Santana e probabilmente “Tarkus” di Emerson, Lake and Palmer e tonnellate di dischi del più grande rhythm’n'blues man italiano, Lucio Battisti. Questi erano long-playing – ossia 33 giri – ma la mia educazione musicale si fece attraverso i 45 giri, in voga all’epoca, che agli ‘inizi compravo da una signora che teneva un negozio d’elettrodomestici, in Versilia, perché in inverno si studiava e d’estate si mangiava la pizza, si beveva la Coca Cola e si ascoltava la musica. Invece che Gianni Morandi, Sergio Bruni e Orietta Berti, Vanilla Fudge (Some Velvet Morning), Moody Blues (On the Thresehold of a Dream), Beatles ovviamente, con una canzone – Come Together – che sarebbe stata rivalutata negl’anni e Jimi Hendrix con Crosstown Traffic. Quando mori’, nel settembre del 1970, a me bambinetto dodicenne sembro’ che l’umanità, almeno quella musicale, avesse perso qualcosa. In anni politicamente assai complessi, la musica rock si ramificava in varie escrescenze. A Viareggio resisteva il Piper 2000, a Firenze lo Space Electronic (nel quale i Sensation’s Fix avrebbero presenziato per anni) ma anche un serissimo cinema riconvertito al rock: l’Astoria in via Aretina. Al Piper giravano gruppi Italiani non male: gli Osanna (L’uomo), i New Trolls (Concerto Grosso), due nomi in quella vasta marea che era il pop italiano. Degli Osanna ricordo gl’assoli con i due sax d’Elio D’Anna – non era il primo a farlo, Nico Di Palo dei New Trolls gl’assoli con la chitarra dietro alla schiena, neanche lui era il primo a farlo. A parte gli scimmiottamenti, per quell’epoca era tanta roba. Il morbo della musica nera era già presente: alle feste si portavano i 45 giri di James Brown (Sex Machine) e Joe Tex (I Gotcha). Ma la svolta sarebbe venuta con un mitico concerto di Rory Gallagher al Piper 2000.
Questo fu prima che conoscessi Ernesto. Ho voluto condividere questi ricordi personali perchè quando incontravo Ernesto spessissimo rievocavamo quei momenti che adesso sembrano terribilmente lontani, quasi improbabili, affascinati come siamo, ma anche soffocati, dalla modernità. Con Ernesto se n’è andato via un pezzo della mia giovinezza, certo molti altri “pezzi” sono vivi e vegeti e lo saranno ancora a lungo, ma quel “pezzo” non lo ritrovero mai, era un pezzo unico di valore incalcolabile.
Luca Lupoli
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