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Jazz @ Lincoln Center Orchestra with Wynton Marsalis and Sachal Jazz Ensemble, Barbican, Londra, 30 giugno 2014

1 luglio 2014 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni

www.jalc.org
www.sachal-music.com
www.barbican.org.uk

Se avete ascoltato il sitar solo nei dischi fondamentali di artisti come Ravi Shankar sappiate che lo strumento può fare ancora di più. E lo possono fare anche altri del subcontinente indiano come il flauto di bambù o le tabla, percussioni dal suono affascinante. Ma difficilmente siamo portati a pensarli in chiave jazz, da quello di New Orleans sino all’Hard Bop. Eppure il Sachal Jazz Ensemble, formazione pakistana, riesce a interpretare i grandi standard con molta naturalezza oltre a proporre musica originale dalle conseguenti sonorità che vengono dall’Oriente. Ancora più singolare che questo repertorio coinvolga non solo il gruppo pakistano ma anche una big band di lusso come Jazz at Lincoln Center Orchestra da New York con il leader Wynton Marsalis.

Il concerto dei due ensembles si è tenuto nell’affollatissima Hall del Barbican di Londra, dove l’orchestra di Marsalis aveva in cartellone tre appuntamenti. La Jazz at Lincoln Center è una formazione di primissimo livello. In prima fila cinque sassofonisti a cui sono affidati anche flauti e clarinetti, nella seconda una sezione tromboni con tre strumentisti in sintonia perfetta negli insiemi, nella terza le quattro trombe, fra cui quella di Marsalis, dalle sonorità brillanti e rigorose al tempo stesso, oltre a pianoforte, contrabbasso e batteria. Il Sachal Jazz è invece formato da sei elementi, tra cui spiccano Baqar Abbas al flauto, Nafees Khan al sitar e Ballu Khan alle tabla, oltre al direttore Nijat Ali alla quale è stata affidata la conduzione dell’intero concerto. Il repertorio, come accennato in precedenza, era suddiviso tra standard e composizioni originali in misura uguale con lo stesso Marsalis a fare da maestro di cerimonie. Dei primi ha colpito la capacità del Sachal Jazz di entrare facilmente nello spirito di brani come New Orleans Blues di Jerry Roll Morton, Limbo Jazz di Duke Ellington (con un indimenticabile duetto tra Baqar Abbas e Ted Nash ai flauti) oltre che a monumenti quali Take Five di Paul Desmond e My Favorite Things di Richard Rodgers, in cui il sitar di Nafees Khan si distingue per invenzione melodica. Forse la maggiore sorpresa è stata la duttilità della Jazz at Lincoln Center Orchestra di entrare nello spirito dei compositori asiatici. Una capacità dovuta grazie anche all’abilità dei propri componenti (il contrabbassista Carlos Henriques, il batterista Ali Jackson, il trombonista Christopher Crenshaw e Victor Goines al sax) nel trasformarsi in arrangiatori per questo doppio ensemble.

Un esempio di questa prassi è rappresentato dal brano finale, Rhythmesque del direttore Nijat Ali. Lavoro scritto in una misura rarissima nella musica occidentale (11/8 invece dei consueti 12 o 9) e realizzato come se le barriere geografiche, mentali e di prassi esecutiva fossero scomparse definitivamente. Tanto da far alzare in piedi tutto il pubblico per un successo forse annunciato, ma forse non prevedibile nelle proporzioni. Comunque meritato.

Michele Manzotti

 

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