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Interviste

Intervista a Veronica & The Red Wine Serenaders

10 agosto 2014 by Giulia Nuti in Interviste

Il loro nuovo album The Mexican Dress è un connubio perfetto tra blues tradizionale, folk, ragtime, ma per la prima volta Veronica & The Red Wine Serenaders affrontano anche la scrittura di materiale originale. Suonato con stile e con il cuore, con l’esperienza di chi ha calcato innumerevoli palchi dal vivo, l’album è un esempio di prim’ordine di blues made in Italy. Ce lo racconta Veronica Sbergia, protagonista e voce del progetto assieme a Max De Bernardi (chitarre) e Dario Polerani (contrabbasso).

Come nasce il progetto Veronica & The Red Wine Serenaders? Al di là della biografia, quand’è che vi siete trovati per la prima volta strumenti alla mano e avete capito che c’era un’alchimia che avrebbe funzionato?
E’ stato in occasione della registrazione del primo disco a nome Veronica & The RWS, nel 2009. In fase di registrazione abbiamo capito che si stava creando qualcosa di nuovo e unico. E ci stavamo divertendo un mondo!

Partiamo da The Mexican Dress. E’ il vostro quinto album: come avete visto il vostro percorso evolversi in questi anni? Siamo passati da un repertorio piu’ jugband e “grezzo” a pezzi piu’ evoluti e sperimentali. Noi stessi stiamo scrivendo brani nostri e ci mettiamo tutte le influenze dei vari ascolti che abbiamo. Sento che siamo in un momento di crescita artistica forte. Siamo in piena evoluzione!

 Siete approdati per la prima volta alla scrittura di brani originali. Come ci siete arrivati e come lavorate ai brani? Come gia’ detto sopra ognuno apporta il suo alla costruzione del pezzo, per quanto riguarda gli arrangiamenti dei pezzi. Io scrivo i testi e generalmente Max si occupa della parte musicale. Puo’ capitare che da un riff nasca una canzone…stiamo provando molto in questo periodo e lavorando molto sul nostro suono.

 Penso che siate riusciti anche nella scrittura di materiale originale a mantenervi molto coerenti con il resto del progetto, cosa ne pensate?
Ovviamente si tratta di un debutto e come tale lo amiamo e siamo particolarmente fieri di firmare i pezzi che eseguiamo dal vivo…dopo ben 7 anni di concerti passati a suonare brandi tradizionali o di altri autori, trovo una certa soddisfazione a presentare i “miei” pezzi! Siamo stati attenti a mantenerci all’interno dello stesso linguaggio diciamo…ma in futuro chissa’, potremmo osare di piu’…

Qualcosa in più sulla collaborazione con Denny Hall? Come vi siete conosciuti e come siete arrivati a lavorare insieme a questi brani?
Denny e’ un grande amico che abbiamo conosciuto, prima virtualmente e poi in carne ed ossa, tramite un comune amico liutaio americano. Denny e’ un veterano della scena musicale californiana degli anni 60-70. Gia’ musicista di jugband e poi costruttore di pipes, e’ un instancabile scrittore di canzoni. Al nostro primo viaggio negli States siamo andati a trovarli nello stato di Washington, lui e sua moglie Judy Wayenberg, e abbiamo passato una settimana a suonare tutti i giorni ogni sorta di strumento per ogni sorta di genere musicale. Abbiamo chiesto a Denny di scrivere qualche pezzo per noi e lui e’ stato entusiasta di aiutarci. E’ stato un apporto fondamentale per la nascita di The Mexican Dress.

Un breve commento sui singoli brani scritti da voi e in particolare sul brano strumentale The Resurrection of the Honey Badger?
Il brano che apre il disco e’ THE MEXICAN DRESS, un pezzo molto trascinante e che spazia nel gispyjazz. Poi c’e’ CRYING TIME, una classica ballata romantica in stile anni ’30 e poi, il bellissimo brano strumentale THE RESURRECTION OF THE HONEY BADGER composto da Max De Bernardi. Un pezzo dove si possono sentire echi di John Fahey, omaggiato anche nel titolo, e Leo Kottke, ma anche Rev. Gary Davis…per la spiegazione del titolo vi invito a venirci ad vedere in concerto. :)

In tempi in cui è difficile suonare dal vivo, voi siete un progetto che riesce a muoversi molto bene anche sul fronte del live: qual è la vostra opinione sull’argomento e la vostra esperienza?
E’ innegabile che sia un periodo molto critico per la musica e la cultura in generale nel nostro paese quindi la selezione e’ durissima. Noi siamo avvantaggiati dal fatto che ci esibiamo anche all’estero. Certo e’ che il panorama musicale al di fuori dell’Italia e’ molto piu’ ricco e “disponibile”. E c’e’ la crisi anche là…non si spiega il perche’! ; )

 Una domanda simile ve la ripropongo anche stringendo il cerchio e passando a parlare della scena blues…. Senz’altro una nicchia, senz’altro un genere nel quale è difficile parlare di “grandi numeri”, eppure un ambito in cui anche in Italia ci sono – e si possono creare – gli spazi per proposte di grande qualità. Cosa ne pensate?
Beh, innanzitutto dovremmo specificare che cosa significhi Blues…non credo sia possibile vedere primo in classifica un disco di Veronica & The Red Wine Serenaders ma si puo’ fare molto per consentire ai musicisti di esibirsi in luoghi adatti alla musica invece che ai soliti rumorosi pub, tanto per cominciare. Il blues e tutti i suoi derivati resteranno forse per sempre, per un pubblico di amanti della buona musica, ma proprio per questo non sara’ mai troppo contaminato da bieche logiche commerciali…dico male?

Quanto è importante la ricerca all’interno del repertorio nel blues e affini?  Voi non siete certo una band che mette in scaletta il primo brano che gli passa per la testa o  si limita al  grande classico, ma avrete dimostrato in questi anni una grande attenzione per i brani scelti, cosa che vi fa molto onore
Noi in primis siamo stufi di risentire i vecchi classici che anche il cane dei vicini canta sotto la doccia!!! Quindi non faremo patire al nostro pubblico tale sofferenza ma cercheremo di nutrirlo sempre con succose proposte, fresche rivisitazioni, nuovi brani di stile indefinito, una ballata romantica e una canzone dei miners. Un gospel gioioso e una ballata che invita ad ubriacarsi e a godersi la vita. Tutto quello che eseguiamo e’ frutto di un’attenta scelta, ci deve piacere la melodia, il testo e deve avere un nonsoche’ che attragga noi e il di conseguenza il nostro pubblico.

Nella vostra biografia, non a caso, avete scritto che il vostro è “Un concerto che non è solo concerto ma un viaggio attraverso le piantagioni del sud degli Stati Uniti, i bordelli di New Orleans, il proibizionismo con tutti i suoi controsensi, le barrelhouses del Delta del Mississippi e le prigioni della Louisiana etc..”. E’ importante anche offrire al pubblico una visione più completa possibile del territorio musicale che si esplora? In un certo senso è una missione a cavallo tra il musicale e il divulgativo, ma probabilmente è un’operazione che può conquistare nuovi appassionati ad ogni concerto
Ci piace contestualizzare i pezzi che stiamo per suonare, perche’ desideriamo che il nostro pubblico capisca cosa sta ascoltando e lo possa apprezzare al meglio. E inoltre ci da la possibilita’ di raccontare molte storielle buffe e divertenti…anche questo piace molto alla gente, che poi si affeziona e torna ad ascoltarci…anche perche’ cerchiamo di non fare mai un concerto uguale all’altro! : )

 La vostra è una ricerca che si proietta anche sugli strumenti: mi raccontate qualcosa in più sugli strumenti che in modo particolare Max utilizza?
Diciamo che più che ricerca si tratta di riprendere strumenti “tipici” della musica a cui ci rifacciamo e riproporli suonandoli nella maniera più “personale” possibile…mi riferisco alle chitarre resofoniche,alla chitarra tenore,agli ukuleles,alla washboard,mandolino etc. etc……tutti strumenti che comunque venivano usati regolarmente dai musicisti di riferimento del passato….

Qual è stata invece la vostra esperienza all’estero?
Bella e’ appagante e continuera’ ad esserlo per molto tempo speriamo! In primavera’ torneremo sicuramente in Inghilterra per un nuovo tour, poi avremo la Francia entro l’anno con un debutto importante a Parigi, e continueremo a lavorare in Germania, Spagna, Svizzera e Italia per la promozione di The Mexican Dress.