Sulle colline subito fuori Firenze, a Serpiolle, c’è un piccolo folk club. Uno di quelli veri, un cui si respira uno spirito internazionale, in cui si sceglie la programmazione con cura e ci si dà da fare contando sulle proprie forze per portare a Firenze il meglio degli artisti nazionali e internazionali. Questa bellissima realtà si chiama Six Bars Jail e il filo conduttore che lega la sua programmazione nel corso dell’anno è quello della chitarra acustica (gli artisti nella maggior parte dei casi si esibiscono da soli alla chitarra), tra finger style, folk e blues.
Già nel settembre 2009 il Six Bars Jail era riuscito ad ospitare una leggenda del folk inglese come John Renbourn e a cinque anni di distanza non si è lasciato sfuggire l’occasione di replicare (il prossimo appuntamento, il 5/09/2014, sarà con il celebre chitarrista e jazzista Franco Cerri, l’ “uomo in ammollo” di un noto spot pubblicitario degli anni Settanta).
Il contesto che il club offre è quello di una vera e propria sala teatrale, da un centinaio di posti, dove il pubblico è preparato e conosce quello ascolta, dove si applaude calorosamente e con entusiasmo, ma solo dopo aver atteso la fine dei brani in religioso silenzio. Già questo, di per sé, vale l’intera serata.
L’esperienza si arricchisce ulteriormente se a essere protagonista è un musicista del calibro dell’ex Pentangle John Renbourn, che in coppia con il compianto Bert Jansch ha segnato pagine indimenticabili della storia del folk inglese.
Le chiavi di lettura di un’esibizione di Renbourn nel ventunesimo secolo passano attraverso l’espressività, il cuore, l’intensità dell’interpretazione.
Non c’è nota che esca delle dita del settantenne chitarrista che non sia in grado di emozionare il pubblico. In modo particolare, fin dal primo brano, colpisce la sua intensità nell’affrontare i bending, quasi come se ad ognuno di essi venisse affidata una parola da recapitare direttamente all’orecchio di chi ascolta.
Renbourn sul palco cita Doc Watson, esegue una versione di Watch The Stars già propria del repertorio dei Pentangle che è pura poesia, sorprende con il misticismo di una toccante versione di Great Dreams From Heaven. Ottime anche le sue versioni di Getting There di Mose Allison e Candyman.
A onor di cronaca, John appare più affaticato della volta precedente, complici sicuramente l’età, i tanti chilometri e i ritmi sostenuti del tour (lo accompagna il figlio, che si prende anche cura di verificare che tutto sia a posto sul palco prima del suo ingresso).
Chi può non si lasci sfuggire l’occasione di vederlo dal vivo. Basta chiudere gli occhi e immaginarselo agli inizi degli anni Sessanta, quando con un gruppo di coetanei si prendeva la briga di gettare i semi di un cambiamento epocale nella storia della musica folk, con una chitarra tra le mani e la stessa voglia di scavare a fondo tra le pieghe della tradizione.
Un certo genere, un certo modo di suonare (che ancora Renbourn padroneggia nonostante l’età intacchi il virtuosismo), un certo modo di pensare la musica passano, imprescindibilmente, da personaggi come lui.
Giulia Nuti
(foto di Michele Manzotti e Giulia Nuti)
Leggi la recensione del concerto al Six Bars Jails del 2009
Intervista a John Renbourn prima del concerto
Lei è già stato al Six Bars Jail, il suo programma sarà legato allo stile chitarristico o ci saranno anche canzoni? «Il club che mi ospita è dedicato alla diffusione del genere fingerstyle. Non mi tirerò indietro, ma ho sufficiente esperienza per presentare un repertorio più vasto con un po’ di blues, un po’ di jazz e musica acustica. Però canterò il meno possibile dato che non ho una gran voce».
Dopo tanti anni di carriera, su cosa sta lavorando attualmente? «Ho ritrovato alcuni nastri che avevo inciso nel 1962 dal contenuto molto interessante e che sto recuperando. Al tempo stesso sto lavorando a un repertorio di cui sono appassionato, la musica chitarristica americana del 19o secolo».
Riguardo al suo passato, e senza andare troppo indietro nel tempo, cosa ricorda della reunion dei Pentangle a Londra nel 2008? «Non suonavamo insieme da anni, ma nonostante questo è stato bello ritrovarci e al tempo stesso facilissimo affrontare la nostra storia».
L’esperienza Pentangle è stata di ispirazione per il folk inglese di oggi, dove prevale la ricerca? «Quando suonavamo eravamo contestati dai puristi del folk. Oggi noto con piacere che avevamo aperto una strada».
Michele Manzotti
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