Da www.lanazione.it/firenze del 4 aprile 2015
La musica pop europea è nata con l’importazione del blues dal nuovo continente. Nel Dna della modernità occidentale, dunque, ci sono tracce di quel ritmo dalle radici afro, sorto spontaneamente come codice di espressione e comunicazione tra gli schiavi delle piantagioni di cotone. In occasione del Festival d’Europa, per capire un volto inedito della nostra identità, la professoressa Silvia Bianchi, docente di Inglese della V elettronica dell’Istituto Leonardo da Vinci, ha deciso di affidare una lezione al team del Popolo del Blues, l’etichetta fondata dal giornalista e musicista Ernesto De Pascale. Sono quindi saliti in cattedra Fabrizio Berti, armonicista, Michele Manzotti, giornalista della Nazione e musicologo, e Giulia Nuti, violista e giornalista (tutti e tre ogni domenica sulle frequenze di Controradio con l’omonima trasmissione – www.ilpopolodelblues.it). Il blues è stato raccontato con un appassionante excursus di video e audio rarissimi. Siamo negli anni Sessanta, prima dei Beatles e dei Rolling Stones, in un’Inghilterra dove l’ambiente musicale languiva. E’ questo il periodo in cui il blues dei ‘primitivi’ americani arriva sulle sponde europee grazie all’industria musicale tedesca e inglese, agli impresari che decidono di portare la musica nera in tournée. Troviamo le prime contaminazioni blues nella musica britannica nei concerti di teatri e università. Dalla struttura base del blues nasce tutto. Dall’acustica all’elettronica, con citazioni fin troppo evidenti, si scatenano i fenomeni dei Led Zeppelin, dei Rolling Stones, gli Who e i Jethro Tull. Alexis Korner fonda la band dei Blues Incorporated, mentre uno scatenato Mick Jagger e un inedito John Lennon suonano la musica del Mississippi nel fenomeno radiofonico ‘Rock’n roll Circus’ della Bbc. Il trio del Popolo del blues ha raccontato con una ricca documentazione lo origini in Usa, quando nelle piantagioni proibivano gli strumenti per evitare che gli schiavi africani comunicassero con messaggi in codice. Nascono così contrabbassi da catini di latta e chitarre dalle scatole di sigari. Con le bottiglie di alcol e il ‘washboard’, la tavola per lavare i panni, si scoprono nuovi suoni. Il ritmo sorge spontaneo, dopo il Gospel e gli Spirituals. Afroamericani ciechi e zoppi (come Sonny Terry e Brownie McGee), ma con un intuito eccezionale per la musica, si dedicano completamente al loro sound, non potendo lavorare nelle piantagioni. Da miti come Muddy Waters (letteralmente acque limacciose, probabilmente delle paludi del Sud) nasce in Europa la passione per una musica nuova. Come ha spiegato la squadra del Popolo del Blues, non dimentichiamoci che gruppi passati alla storia come i Rolling Stones e i Pink Floyd hanno scelto il proprio nome da pionieri del blues, rispettivamente dal titolo di una canzone blues cantata appunto da Muddy Waters e dai nomi di battesimo di un bluesman, Pink Anderson, e di un chitarrista nero Floyd Council.
Laura Tabegna
Tagged blues, il popolo del blues