Arcana
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Hanno raggiunto numeri che la discografia attuale può solo sognare. I dieci album pubblicati tra il 1976 e il 1987 ottennero cinquanta riconoscimenti tra dischi d’oro e di platino, ma soprattutto le vendite arrivarono a quaranta milioni di copie vendute. Alan Parsons ed Eric Woolfson, ovvero The Alan Parsons Project, trovarono un equilibrio particolare tra il rock progressivo che stava tramontando e il pop con l’inserimento dell’elettronica, oggi un fatto abituale ma allora rivoluzionario. Il libro di Francesco Ferrua, che ha come titolo la traduzione di “Eye in The Sky” il brano di maggior successo del gruppo, racconta per la prima volta in Italia la storia di questa formazione. Ma è indubbio che il personaggio che brilla maggiormente è Parsons, giovane ingegnere del suono che carpisce i trucchi del mestiere lavorando con i Beatles in “Abbey Road” e i Pink Floyd in “Dark Side of the Moon” e che diventa in poco tempo un musicista di primissimo piano.
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L’intervista
I suoi concerti italiani hanno registrato il tutto esaurito. «Firenze è una delle mie città preferite – spiega il musicista nato a Londra che il Popolo del Blues ha intervistato poco prima della data di aprile nel capoluogo toscano –; fortunatamente in Italia vengo spesso. Non solo con la mia band, ma anche per lavorare in studi di registrazione».
Lei infatti è conosciuto forse più per l’attività di produttore e musicista in studio che non sul palco. Qual è la sua dimensione preferita?
«Adesso sicuramente quella dal vivo. Una volta la musica era un fenomeno prevalentemente discografico anche se i concerti erano indubbiamente importanti. Negli anni, con i dischi che si vendono sempre di meno, le esibizioni in pubblico sono diventate fondamentali per l’attività di un musicista».
Nella sua biografia c’è anche la partecipazione a un album divenuto fondamentale per la storia della musica come Abbey Road dei Beatles. Cosa ricorda di quel lavoro?
«Provi a immaginare cosa passa per la testa a un giovane che si trova i Beatles in uno studio di registrazione. E nello stesso tempo a imparare il mestiere di confezionare il suono, lavorando su un disco i cui brani sono diventati immortali. Posso solo dire che Abbey Road professionalmente mi ha fatto fare un salto in avanti divenuto fondamentale».
Ritornando al discorso sulla musica di oggi, le piace continuare a scrivere e proporre nuovi brani?
«Certamente, tanto che questo tour precede di poco l’uscita del mio nuovo disco. L’album avrà anche un’edizione limitata in vinile colorato».
Quindi ci saranno sorprese nel suo concerto?
«Ovviamente gran parte del pubblico viene ad ascoltare i miei classici come Eye in the Sky, Sirius e Mammagamma. Quelli non possono mancare in scaletta. Però che spettacolo sarebbe senza un po’ di novità e qualche sorpresa?»
Michele Manzotti
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