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Foto (c) Giovanni De Liguori
Anche quest’anno la valle retrostante il piccolo villaggio di Crickhowell, South Wales, ha fatto da suggestiva cornice al Green Man Festival 2015 approfittando di un clima certo non estivo ma sicuramente migliore di quanto previsto. Dal 19 al 23 agosto la vallata si è ripopolata di giovani, meno giovani, bambini, tendoni da luna park, ottovolanti, venditori di zucchero filato il tutto per celebrare l’annuale rito di ossequio all’Uomo Verde con il sottofondo della migliore musica attualmente in circolazione. Dopo che la prima “mezza giornata” di festival è scorsa via tra tende in fase di montaggio, sguardi curiosi ed il sound dei Letfield che ci ha riportato indietro nel tempo all’epoca dell’elettronica dei primi anni 90, il primo giorno “pieno” del Green Man Festival si apre con la voce squillante, l’ostentata sicurezza sul palco ed il glamour di Natalie Prass (foto in alto). Giovane autrice di Richmond (Virginia), titolare di uno dei migliori album di esordio degli ultimi anni, forte della produzione di Matthew E. White e sorretta da una band che nel frattempo si è rodata in giro per il mondo, la giovane Natalie arriva sul Mountain Stage del Green Man Festival con il fare sicuro della star ed una sfilza di canzoni che trovano la loro forza nel prefetto equilibrio tra eleganza di scrittura, presenza scenica ed un sicuro e micidiale groove.Da tenere sott’occhio e da ricordare in occasione delle playlist di fine anno.
Come spesso capita, però, le cose più belle del festival accadono sul palco più piccolo all’interno del Walled Garden e così è stato anche stavolta: Alasdair Roberts (nella foto sotto), sicuramente uno dei migliori folksinger in attività e già presente in varie edizioni del Green Man Festival, ha ipnotizzato la folla presente al Walled Garden col fare magico del cantastorie d’altri tempi, con l’ammaliante sicurezza di un pifferaio magico. Quaranta minuti in cui si è esibito in un religioso ed irreale silenzio interrotto soltanto dagli applausi per un concerto che si è concluso con un canto tradizionale eseguito a cappella al termine del quale molti di noi avevano la pelle d’oca e la certezza di aver assistito ad uno dei migliori momenti dell’intera storia del festival. Qualcosa da ricordare a lungo anche per le future generazioni.
Conclusione di serata in festa con la Sun Ra Arkestra magistralmente diretta dal novantunenne Maestro Marshall Allen che ha incendiato la far out tent in un rollercoaster di colori, viaggi astrali, funky, jazz, free jazz, psichedelia, blaxploitation e Afro. Terra-Saturno -Terra in 45 minuti.
Il secondo giorno del festival si apre con i colori tipici della campagna gallese baciata dal sole dopo la pioggia infondendo la speranza che anche quest’anno il clima sarà clemente. Giungere poi nell’ampia vallata del Mountain Stage ed incrociare il sorriso sornione di Andrea Garbo, musicista italiano ormai veterano del Green Man (2008 con i Jennifer Gentle, 2009 con Emma Tricca e quest’anno con i Colorama) è il miglior buon auspicio che potessimo attendere per questa giornata. Semmai dovessimo tracciare una linea di demarcazione tra quello che c’è nella musica che gira intorno (cit.) e quello che della musica resta negli anni, ebbene, questa linea sarebbe rappresentata dalla capacità di ogni singolo artista di scrivere belle canzoni e non solo melodie accattivanti. Semmai tra tutte le cose carine che ci vengono proposte dovessimo, così come con uno di quei setacci per l’oro, isolare le singole pepite/canzoni da tutto il resto, ebbene, di ognuna di queste dovremmo considerarne non solo la bellezza ma anche la caratura, la maturità del songwriting, l’architettura degli arrangiamenti . Tutto questo per dire che i Colorama (nella foto sotto) del gallese Carwyn Ellis sono tra le migliori pop band attualmente in circolazione, cosa che si capisce sin dalle prime note e lo si avverte non solo dalle melodie di ogni canzone ma anche dalla capacità della band di creare movimento, di soffiare l’ anima in ogni passaggio e di crescere unitamente come un unico, compatto, muro di suono nel quale tuttavia resta ben definito ogni singolo apporto, ogni singola individualità. Per tutti coloro che nel marasma della musica moderna cercano qualche bella canzone da ricordare.
Charles Bradley regala al pubblico del Mountain Stage uno show impressionante: sorretto da una giovane band in stato di grazia, il cantante vive questa sua inaspettata ed improvvisa giovinezza artistica nel migliore dei modi e cioè senza montarsi la testa, senza ammiccare troppo ma concentrandosi sulle sue canzoni, sul duro lavoro da animale da palcoscenico e sul suo personale appeal. Il soul resta la musica più bella del mondo, è quella magia che consente di fare luce in una stanza buia (cit.) e Charles Bradley (nella foto sotto) ne è degno ambasciatore.
E cosa dire, infine, dei Television che propongono Marquee Moon? Compostezza, solidità del suono, equilibrio, gran mestiere, nessuna sbavatura e nessuna nota tirata più di tanto in omaggio ad un album che più e meglio di tanti altri, nel pieno dell’infuocato 1977, seppe tracciare la strada, la direzione per andare e vedere oltre il punk con un suono che ancora oggi vibra come nuovo ed una chitarra il cui suono così liquido risuona ancora diabolicamente vivo. Tocca ai Public Service Broadcasting, già ammirati nella edizione di due anni fa, smuovere la far out tent nel corso dell’ultima giornata di Festival e proporre un divertentissimo concerto all’insegna di un pop elettronico dai tratti retrò, a metà strada tra gli Apollo 440, i Daft Punk ed i Mogwai.
Quale modo migliore per prepararsi al falò di fine Festival se non con la corale celebrazione pagana e sciamanica dei GOAT (nella foto sopra)? Quando ancora la memoria era piena e turbata dallo show degli Swans di due anni fa e nel mentre la maggioranza dei presenti al festival è ancora sotto il Mountain Stage a celebrare il talento di St. Vincent, ecco che il palco della Far Out Tent viene invaso da una comune di personaggi mascherati che ben presto incendiano il palco con uno show micidiale a base di World Music ed Afro beat caratterizzato da non poca simbologia e messaggi di carattere esoterico. Il migliore dei tappeti sonori possibili per avviarsi, come in una lenta processione, al sito del falò per l’ultima, rituale, celebrazione: osservare il fuoco che si impossessa dell’enorme raffigurazione del Green Man e restare col naso all’insù a vedere i fuochi d’artificio con la memoria che già ripercorre e classifica i migliori momenti del festival appena concluso ed il cuore che cavalca i mesi, le stagioni, ed è già lì pronto a godersi l’edizione del 2016.
Giovanni de Liguori
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