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Recensioni

King Crimson, Olympia, Parigi, 20 settembre 2015

22 settembre 2015 by pdb in Concerti, Recensioni

www.dgmlive.com

E’ valsa la pena di raccogliere l’invito di Robert Fripp, ufficialmente santificato dal  sito DGM LIVE,  ad andare a vedere “questo tour dei King Crimson senza aspettare il prossimo” e soprattutto per chi come noi italici fan dei Crims ha potuto godere dello show nello storico teatro dell’Olympia di Parigi, piazzato sontuosamente nella zona dei grandes boulevards tra l’Opera, il Caffe’ de la Paix e altre meraviglie è stata una doppia emozione. In una data aggiuntiva , quella del 20 settembre che andava a completare le due  dei giorni successivi subito sold out , il nuovo settetto messo su da Fripp per gli anni dieci del semi-nuovo millennio ha snocciolato tutta la storia della band prog più influente del movimento eccezion fatta per il repertorio degli anni ottanta ormai appannaggio della formazione “cugina“ capitanata da Adrian Belew, il Crimson Projekct .

Davanti ad una platea di un teatro molto somigliante al suo interno al Sistina di Roma ed a un pubblico che parlava per un 20 per cento in italiano, la formazione-monstre  ha calato subito gli assi: in unica sequenza i due strumentali Larks tongues in Aspic Part One e Red, colonne portanti dell’opera hanno dimostrato come la formazione a tre batterie è stata un idea tutt’altro che balzana e solipsistica di Fripp. La prima linea, come è stata subito battezzata, non è questione di artiglieria napoleonica, ma bensì un sofisticato gioco di piatti e percussioni che sorprende per leggerezza e liricità dove Pat Mastellotto è dei tre quello che rileva anche il ruolo che fu di Jamie Muir. Mel Collins, piazzato  in seconda fila a sinistra rispetto alla visuale dello spettatore, sostituisce benissimo (e questa è la seconda sorpresa) il violino di David Cross, aggiungendo colori e sfumature con il flauto e il sax  che arricchiscono ulteriormente la complessità degli originali. C’è anche spazio, fra i due brani, per una citazione audio del brano Islands (la sequenza dell’accordatura collocata alla fine della canzone)   evocativa e soprattutto indicativa di che piega avrebbe preso la serata. Mostrare la prospettiva del lavoro cinquantennale della formazione rincorrendo una terza via:  rinnovare il repertorio e cercando all’interno di esso le ragioni per un presente. C’è però un brano nuovo, Meltdown, dove Jakko Jakszyk si esibisce al meglio. Non sarà lo stesso per le altre “canzoni”  ma dato che il ruolo è stato quello di sostituire i brano cantati da gente come Greg Lake e John Wetton, sarebbe sterile  chiedere al buon Jakko (fan del gruppo sin da ragazzo)  di più e di meglio.

Il concerto va avanti tra le rullate mai invasive dei due batteristi esterni  Mastellotto e Gavin Harrison  e del centromediano metodista Bill Riflin, ultimo arrivato e  terza grande novità, apparentemente meno in evidenza degli alti due, è invece il metronomo del gruppo in grado di destreggiarsi tra la sua snella batteria composta di pochi elementi e il mellotron di cui cura le parti così significative della storia della band . Si passa così dal 1970 di  Picture of a city al 2000 di The Costruction of Light , senza evitare mai di sorprendersi e godendo di una macchina forse imperfetta e con qualche sbavatura qua e là, ma con la  grande abilità di non far mai prendere allo spettatore la strada della nostalgia. Ripercorrendo la propria strada i Crimson scoprono viottoli nuovi: dopo la monumentale Epitaph è di nuovo Mel Collins in evidenza in Easy Money, accorciata rispetto all’originale in studio e in The Letters tratto  da Islands seguito da un altro brano dall’album Sailor’s Tale dove Robert Fripp rinnova il suo mirabolante assolo ad accordi e dove un Tony Levin un po’ in ombra dà la sua prova più convincente della serata.

Ci si avvia verso la fine del concerto dedicata all’ultimo lavoro del gruppo nella decade degli anni settanta, pre commistioni new wave, e cioè Red con una versione di One more red nightmare dove i tre batteristi si dividono i controtempi che furono di Bill Bruford e una versione appassionata di Starless, dove non era possibile non andare con la memoria a John Wetton reduce da una delicata operazione per la rimozione di un tumore. Il gruppo esce  tra ovvie standing ovation e rientra per i due grandi classici The court of Crimson King e 21st century schizoid man preceduti da una breve esibizione dei tre batteristi peraltro assolutamente sobria. L’esibizione quindi si chiude lì dove era cominciata la storia della band con due interpretazioni non convenzionale, soprattutto la seconda infarcita da un assolo di batteria nella parte centrale di Gavin Harrison a riempire qualche vuoto, e con un pensiero: ci sarà un prossimo passo? L’aria sorpendente più fresca di Boulevard des Capucines non chiarisce.

Ugo Coccia

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