www.hackettsongs.com
Oltre i Genesis, ma senza dimenticarli. Non potrebbe essere altrimenti per Steve Hackett, chitarrista che da tempo aveva lasciato il gruppo per dedicarsi ai progetti personali ma che (a differenza di Peter Gabriel) insieme a Tony Banks, Phil Collins e Mike Rutherford è entrato nella Rock’n'Roll Hall of Fame grazie agli album immortali della formazione. Da qualche anno Hackett, londinese di Pimlico, ha ritrovato il gusto di presentarsi con la band elettrica. In questa veste è in Italia per quattro date dal 21 al 24 settembre a Milano, Firenze, Roma e Padova (info concerti www.bmpconcerti.com) in coincidenza con la pubblicazione del nuovo disco.
E’ appena uscito Wolflight, quali caratteristiche ha questa produzione?
«Lo considero una sintesi di tutto il lavoro che ho fatto in questi anni. Una sorta di mix culturale che attraversa anni e luoghi diversi. E’ quindi un disco essenzialmente rock ma ci sono varie influenze: ad esempio utilizzo uno strumento che viene dall’antica Grecia come il flauto di Pan, o il didgeridoo australiano così come percussioni orientali. Io stesso suono il liuto di origine araba. C’è poi l’aggiunta di un’orchestra d’archi. Per quanto riguarda i testi, l’album si basa su un tema principale».
Quale argomento ha scelto?
«Quello della libertà. Ad esempio parlo della ribellione degli schiavi d’America legandomi al linguaggio del Gospel, della costruzione della grande muraglia cinese per difendere l’impero, ma anche della libertà personale contro la violenza familiare».
Però il concerto non avrà solo Wolflight come repertorio…
«E’ vero, perché riprende molto del mio passato. Ci saranno brani del mio primo lavoro Voyage of the Acolyte, uscito 40 anni fa. Ma soprattutto molto del repertorio dei Genesis durante la mia permanenza del gruppo. So bene che molti degli spettatori vengono per la mia appartenenza a una formazione importante del rock ed è giusto accontentarli. Una parte del concerto è dedicata a loro e alla mia storia con i Genesis».
Eppure fino a qualche anno fa lei si presentava in veste acustica: sempre in Italia si esibì in trio insieme a suo fratello al flauto…
«Ho riscoperto la mia vocazione elettrica senza dimenticare le sonorità più essenziali. Ad esempio nel brano Love Song to a Vampire da Wolflight uso la chitarra con le corde di nylon. E anche in concerto farò lo stesso, come in alcune canzoni dei Genesis, penso a Cinema Show».
L’ultima domanda è rivolta al progetto Squackett, forzatamente conclusa con la scomparsa recente di Chris Squire, bassista degli Yes. Quanto ha significato da un punto di vista artistico la collaborazione con lui?
«Ho parlato con Chris e con la moglie poche settimane prima della scomparsa e avevo capito che stava molto male. Lui aveva uno stile di suonare il basso che era unico. Non lo utilizzava come strumento ritmico, ma mettendo in risalto la melodia che le quattro corde potevano esprimere. Io che suono la chitarra trovo molto stimolate questo dialogo con il basso, ma è dal punto di vista personale che la perdita è stata molto importante. In Wolflight è possibile ascoltare la sua ultima incisione in assoluto, nel brano Love Song to a Vampire che ho ricordato prima».
Michele Manzotti
Tagged Chris Squire, Genesis, Steve Hackett, Wolflight