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foto (c) Stefano Viaro
Naturally 7 @ London a Cappella Festival, Union Chapel, 29 gennaio
La parola introduzione, in tutti i sensi, è d’obbligo. Infatti sono da poco state aperte le porte della maestosa Union Chapel che tre giovani ragazzi inglesi (Matt Woods ) prendono il palco e introducono un fantastico mood intonato con il calore di ciò che sta per accadere. Improvvisamente torna in mente il motivo per il quale gran parte della musica più geniale e innovativa arrivi proprio dal Regno Unito. Pochi strumenti, tenui armonie a tre voci, il chiacchierìo si abbassa e l’attenzione del pubblico viene attratta da qualcosa di gustoso per quanto sconosciuto. Bravi Matt Woods tamto cge consigliamo di conoscerli attraverso la loro pagina Facebook. Lasciano il palco tra gli applausi mente i banchi si gremiscono e si svela parzialmente quello che accadrà nelle successive due ore abbondanti: tre piattaforme rialzate ospitano uno sgabello da batterista al centro e aste microfoniche ai lati, per il basso a destra e per le armonie a sinistra. Altri sei sgabelli più alti hanno già altrettanti asciugamani sopra, pronti per lo show muscolare.
Le luci si abbassano e con passo veloce Rod Eldridge si porta alla loopstation dove in meno di trenta secondi fa salire la platea come mai quei muri sacri probabilmente hanno visto, mentre il resto della vocal band prende posto sul palco. Lo show è tutto in salita scandito dai potenti colpi di Warren Thomas che insieme al groove di Kelvin “Kelz” Mitchell formano una sezione ritmica degna di una vera rock band. Le balconate vibrano allegramente sotto i piedi del pubblico e così pure lo stomaco di chi scrive. La cosa più sorprendente è sentire queste meravigliose voci black che si imbrigliano in armonie e arpeggi con un blending favoloso, per poi esplodere in parti soliste con immensa personalità, dal potentissimo baritono Dwight Stewart, al tenore Ricky Cort, passando per le parti rap del leader del gruppo Roger Thomas. Incredibile attitudine, inoltre, per gli strumenti vocali, una delle vere specialità della band: chitarra, tromba, armonica, violino, flauto. La prima parte della serata si consuma su ritmiche rock e R&B con punte di vero show su “Jericho” e “Wall of sound”, trainate da inaspettatamente fluide e coinvolgenti coreografie: i N7 si dimostrano autentici “animali da palco”.
Più raffinata ed elegante la seconda parte che include diverse ballads e due momenti a Cappella interamente non amplificati, il primo dei quali, un medley tra cui spuntano brani di Simon and Garfunkel. L’apice emotivo è stato raggiunto in quella che di recente è diventata la “bandiera mainstream” del gruppo, ossia, Fix You dei Coldplay: una prestazione decisamente sopra le righe tale da meritarsi la standing ovation del pubblico. Gustoso siparietto finale con proposta di matrimonio che si guadagna la dedica dal palco. La cornice di Union Chapel lentamente torna a delinearsi man mano che platea e balconate si svuotano, l’energia della serata resterà a lungo nella mente di un pubblico entusiasta. I Naturally 7 sono e restano un gruppo a Cappella atipico, inimitabili sotto certi aspetti, difficilmente godibili restando composti in poltrona, decisamente meritevoli del successo ottenuto.
La Hall 1 del londinese King’s Place è una magnifica sala da concerti, e come di consuetudine registra il tutto esaurito per la serata d’onore di questa settima edizione del Festival. Loro, organizzatori e protagonisti al tempo stesso, sono in gran spolvero e appaiono davvero a loro agio in quella che può essere definita la loro casa: gli Swingles entrano puntuali, in un insolito look scuro, e iniziano con gran classe il loro raffinato spettacolo, aperto molto significativamente dal magnifico brano “Narnia” dal loro ultimo lavoro “Deep End”. Tra le linee si nota subito la mancanza di CJ Neale che ha lasciato il gruppo la scorsa estate mentre il suo posto è provvisoriamente occupato dal poliedrico Nick Girard, attualmente attivo con i californiani House Jacks. Gli habituées del festival hanno sempre grandi aspettative per questo appuntamento fisso con i padroni di casa e anche questa volta sono ben ripagate: le curatissime coreografie fanno da sfondo a inconfondibili arrangiamenti, magnificamente interpretati dalle voci di Jo Goldsmith Eteson, Sara Brimer, Clare Wheeler, Oliver Griffiths, il già citato Nick, Kevin Fox ed Edward Randell. Ampio spazio viene dato ai brani di “Deep End”, album particolarmente sperimentale per le nuove sonorità esplorate dal gruppo: suoni che fluiscono magicamente, ambienti sonori, gustose parti soliste, supportati dalle tecnologiche mani dell’ottimo Hugh Walker, ingegnere del suono del gruppo.
L’emozione è palpabile in “After the storm” del repertorio Mumford & Sons, una delle migliori performance di sempre, con un Oliver Griffiths solista da brividi. Gustosissima “Couldn’t love you more” di John Martyn interpretata dal basso Edward Randell, che per l’occasione sfodera una delicata voce tenorile. Immancabile “The Diva aria” con la sempre sorprendente Sara Brimer che fa saltare dalle poltrone la platea. Siparietto per la tastiera apparsa sullo stage: Jo Goldsmith Eteson scherzosamente spiega che qualche volta si può fare un’eccezione anche nella musica a Cappella. Effettivamente l’utilizzo sarà minimo quanto opportuno nei due brani in cui appare. Doppia grande sorpresa nel finale con l’entrata sul palco dei Naturally 7: la prima per il leader Roger Thomas che riceve lo speciale “Happy birthday” degli ospiti Swingles; la seconda per tutti i presenti che assistono al meraviglioso tributo a David Bowie da parte dei due gruppi insieme. Le note di “Life on Mars” fanno salire letteralmente il pubblico, questa volta trainato dall’energia degli americani elevata al gusto degli inglesi. Si chiude il Festival con questo eccellente spettacolo: un’edizione decisamente riuscita, impreziosita da ospiti di grande talento.
Stefano Viaro
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