Pubblichiamo l’intervista a George Martin, compositore britannico e produttore dei dischi più famosi dei Beatles a cura di Michele Manzotti durante il soggiorno fiorentino del musicista nel 2009. Foto (c) Marco Mori – Pressphoto
«I Beatles? La prima volta che li ho sentiti ero tutt’altro che entusiasta. La mia stessa segretaria li considerava “rubbish”, spazzatura. Dissi di no al loro manager Brian Epstein che aveva chiesto un appuntamento con me. Accusò il colpo, ma non si perse d’animo e insistette fino a che non concessi loro un’ora negli studi di Abbey Road. Le canzoni erano abbastanza elementari (la migliore era Love me Do, e One After 909 era accettabile), ma loro avevano tanto charme e carisma da vendere. Così decisi di rischiare e feci un contratto che per loro non era poi così vantaggioso». Così George Martin racconta l’inizio di un’avventura che lo ha portato a essere considerato il ‘quinto Beatle’ condividendo con il gruppo tutti i più grandi album, in primis Sgt. Pepper’s Lonely Hearts club Band, divenuto uno dei dischi imprescindibili della musica pop. Proprio questo disco è stato il tema di un incontro tenuto a Firenze nel Club Palazzo Tornabuoni che lo ha visto ospite. Nonostante gli 83 anni ha voluto parlare non solo dei Beatles (i cui album rimasterizzati saranno disponibili dall’autunno prossimo) ma anche di musica a 360 gradi.
Lei ha usato molta tecnologia negli album che ha prodotto. Cosa pensa della tecnologia di oggi?
«Che deve essere un mezzo, ma non il fine della vita o di una creazione artistica. Vedo i miei nipoti che sono sempre davanti a uno schermo, e le possibilità attuali di applicazioni sono molto alte. Ma senza un’idea, un pensiero forte, la tecnologia non basta da sola».
Eppure in studio di registrazione ne ha sempre fatto uso…
«Frequento gli studi dagli anni ’50, e tante volte usavamo mezzi artigianali per lavorare, a partire dalle forbici che servivano per tagliare i nastri. D’altra parte anche nei film di 007 per i quali ho scritto le musiche, James Bond si butta nel vuoto pur non facendolo realmente e questo grazie alla tecnologia. Alla base di tutto però ci deve essere un progetto che funzioni, e questo valeva ieri come vale oggi».
Proprio in questi giorni è stato lanciato un videogioco con i Beatles…
«C’era mio figlio John in America che stava curando la promozione e che ha curato la parte musicale del gioco».
Cosa ascolta adesso George Martin?
«Principalmente preferisco la musica classica, dato che il mio udito non è più quello di una volta. E questo nonostante faccia parte dalla Rock’n’roll Hall of Fame, quindi qualcuno forse non sarà contento…».
A questo proposito, la «Pepperland Suite» dal film di animazione «Yellow Submarine» con i Beatles è un vero e proprio brano classico. Lo compose in precedenza o seguendo le immagini?
«Rispetto ai periodi classici di lavorazione dei film avevamo pochissimo tempo (un anno) e un budget limitato. Il regista mi aveva fornito alcuni fotogrammi e la sceneggiatura, mentre di solito si lavora guardando le immagini per sincronizzare le note. Era assolutamente sicuro che sarebbe stato difficile completare sia il film sia la musica. Mi misi al lavoro e nonostante le difficoltà, tutto è andato nel verso giusto. Così come nel caso delle 15 colonne sonore che ho scritto.
Il suo album In My Life, uscito qualche anno fa, sembra quasi un autoritratto…
«Volevo fare un album mio, con brani dei Beatles, senza costrizioni e con artisti che stimavo, i miei ‘friends and heroes’ (amici ed eroi). Ricordo Robin Williams che ha voluto con sé l’eccezionale musicista Bobby McFerrin, Goldie Hawn che aveva interpretato sempre film leggeri e si è dimostrata una cantante eccezionale, Sean Connery che ha recitato In My Life. L’unica cosa che volevo da tutti era l’esclusiva per questo lavoro, solo Celine Dion non l’ha fatto. Ma d’altra parte aveva venduto milioni di dischi contro le centomila circa di In My Life».
Parliamo di Sgt. Pepper’s, ci racconta un episodio?
«Ricordo il fatto di non poter sfruttare due brani eccezionali: Strawberry Fields Forever scritta da John e Penny Lane scritta da Paul. Una combinazione irripetibile. Solo che il 45 giri che doveva poi lanciare l’album arrivò “solo” al secondo posto e le canzoni non furono considerate adatte a essere inserite nel disco».
Vede ancora Paul e Ringo?
«Ho cenato con loro due settimane fa. Vedo spesso anche Olivia Harrison e Yoko Ono. D’altra parte sono quasi 50 anni che siamo amici».
Michele Manzotti
Tagged beatles, George Martin