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Musicista di lungo corso, ha attraversato varie fasi della musica italiana. Ma il suo grande amore resta il Rock’n’Roll. E’ tutta colpa del Rock’n’Roll è infatti il titolo dello spettacolo che Ricky Gianco sta portando in giro per l’Italia tra musica e racconti. Un lavoro scritto a quattro mani con Rosaria Parretti con la regia di Velia Mantegazza, che ripercorre parte della vita di Ricky GIanco nel segno del rock’n’roll, dell’impegno politico ma anche della canzone leggera e dell’ironia. Con lui sul palco Stefano Covri, alla chitarra, Dario Polerani, al basso, Vicky Ferrara, alla batteria. Lo incontriamo in occasione della sua tappa a Teatro Puccini di Firenze.
Cosa ha voluto dire la parola Rock’n’Roll per lei, non solo da un punto di vista musicale, ma anche come stile di vita?
«Era una vera e propria ribellione. Va detto che prima dell’avvento di questo stile, in America si scrivevano testi e musiche di qualità migliore, ma era il ritmo dava un senso di libertà. Una nuova generazione aveva la necessità di vedere la vita in un modo diverso, dato che se eri un teenager non venivi considerato dagli altri».
Quindi cosa ha tirato fuori Ricky Gianco dagli archivi, anche non necessariamente dai suoi?
«Racconto la mia storia, l’innamoramento da giovane per questa musica nuova e il periodo del Clan di Celentano. Poi gli anni della Swingin’ London che fortunatamente ho avuto la fortuna di vivere di persona. Infine anche la trasformazione della musica in impegno sociale con un’altra voglia di rivoluzione, un periodo che faccio concludere con la vicenda di Aldo Moro. Anche perché da un punto di vista temporale uno spettacolo sulla mia vita musicale durerebbe settimane».
Tempo fa è uscito un suo triplo album antologico con alcuni ospiti illustri tra cui Fabrizio De André…
«E’ stato molto bello, e ci ho messo un bel po’ per convincerlo. Con Gianfranco Manfredi avevamo scritto la canzone Navigare. Gli avevo chiesto di cantare nel coro e lui finalmente aveva detto sì, ma il giorno della registrazione la tirò per le lunghe. Suonai il campanello, Dori Ghezzi mi fece salire, poi Fabrizio volle prendere un caffè e cominciò a chiacchierare, tutto questo mentre ci aspettavano per incidere. Poi in studio di registrazione diede il meglio di sé».
Altre collaborazioni di cui va orgoglioso?
«Quella con Robert Wyatt in Hasta siempre comandante e quella con i Toto a Los Angeles, contatto avuto grazie ad Armando Gallo, fotografo che vive in quella città. Ero a un concerto dei Toto in America e lui aveva parlato loro di me. In Italia mi arrivò una chiamata di Jeff Porcaro, mi parlò di un progetto ma io pensavo fosse uno scherzo. Poi mi richiamò dicendo: ‘qui è tutto pronto, cosa aspetti?’, e volai in America. C’è anche una curiosità legata a quest’ultimo episodio: un musicista italiano che non voleva collaborare con me ha iniziato poi a cambiare idea proprio dopo questo disco americano».
Nella sua carriera c’è anche un Premio Ciampi nel 2003 …
«Sì, tra l’altro è un riconoscimento che tengo bene in mostra a casa, a differenza di altri premi».
Oggi c’è ancora bisogno di Rock’n’Roll?
«Manca ogni tipo di discussione, tanto meno di protesta. C’è un grande silenzio generale, la televisione ci rimbambisce e non reagiamo nemmeno di fronte a drammi come quelli che vediamo ogni giorno. Se il Rock’n’Roll è un simbolo, allora dico di sì».
Michele Manzotti
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