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Federico Micali – L’Universale

5 aprile 2016 by Michele Manzotti in Film, Recensioni

universaleilfilm.it

Era fatale che prima o poi si facesse un film sull’Universale. Ovvero sul cinema fiorentino la cui platea era un film a parte, oltre a quello che veniva proiettato sullo schermo. La sala non era solo un luogo fisico, ma uno stato mentale che ha coinvolto buona parte dei fiorentini nati nei decenni ’50 e ’60 . Quella sala non era un cinema come gli altri, ma l’Universale. Non si diceva “si va al cinema”, ma si “va all’Universale”. Il contenuto sullo schermo era totalmente secondario: il film poteva essere bello o brutto, era comunque oggetto di commenti ad alta voce. Così come gli spot pubblicitari e gli ultimi, rarissimi, cinegiornali in programmazione fino alla metà dei ’70. Niente veniva risparmiato dal pubblico più goliardico che comunque conviveva con quello più esigente che veniva a scoprire i film d’autore. Un passaggio importante sottolineato dalla pellicola di Federico Micali. La sera, o il pomeriggio, l’Universale coniugava goliardia ed educazione culturale con i film di Fellini, Bunuel, Hitchcock tanto per fare alcuni nomi. Oppure pellicole diventate cult a loro modo come Fragole e sangue e la psichedelica Chappaqua. E poi la musica: i grandi concerti dal vivo erano un obiettivo irraggiungibile. Woodstock, Il concerto per il Bangla Desh, Monterrey, Yessongs e tanti altri permettevano quasi di toccare con mano Bob Dylan, Crosby Stills & Nash, Jimi Hendrix e unirsi alle esecuzioni sul palco grazie al canto, tollerato e anzi parte integrante della serata. Per quanto riguarda la platea ci sono alcuni fatti (senza stare a scomodare la leggenda della Vespa e quella dei battutisti di professione) che spiegano il clima dell’epoca. Ad esempio il divieto di fumare, completamente disatteso dal pubblico. Tanto che per arginare il problema la maschera dovette talvolta entrare in sala con due “gorilla” a dire, con modi spicci, di spegnere le cicche. Poi era diventato sempre più rischioso mettersi nelle prime file e anche in quelle centrali. Oltre alle già citate sigarette accese si poteva rimanere vittime dei lanci di lattine, che non necessariamente erano vuote. Come in tutte le epoche, anche l’Universale ebbe la sua decadenza tanto da chiudere alla pari di altre sale. Ma non chiuse solo una sala, piuttosto uno stile di vita ormai fatalmente lontano. Per questo ben vengano libri come quello di Matteo Poggi (Polistampa 2002), o anche il precedente docufilm di Micali. E’ un pezzo di storia di Firenze, che una generazione ha saputo vivere fino in fondo.

Michele Manzotti

Note di regia 

Per quasi due anni ho “vissuto” all’interno del Cinema Universale di Firenze assorbendo una straordinaria serie di racconti, storie e aneddoti che sono poi, in piccola parte, confluiti nel mio documentario, “Cinema Universale d’essai”. E’ stato un viaggio emozionate e divertente in una storia del cinema molto privata, quella che ha caratterizzato l’identità di varie generazioni che si sono alternate su quelle scomode poltroncine di legno, dove il film diventava una partitura personale su cui improvvisare collettivamente: una interazione che iniziava durante la proiezione e proseguiva nelle discussioni al bar o davanti alla cassa. Da queste basi ho iniziato a cullare l’idea di avere il Cinema Universale come teatro di una scrittura drammaturgica che superasse i confini segnati dal reale, per andare a raccontare la storia di una generazione- quella che passa per gli anni 70-  attraverso le strette mura di un cinema e l’immensa finestra che è il suo schermo. Mi ha affascinato soprattutto quel rapporto viscerale che si creava (ma che ancora si crea ovunque ci sia una sala “vissuta”) con il cinema, inteso come film ma soprattutto come luogo: uno spazio familiare che riusciva magistralmente a mettere insieme la cultura alta dei film d’essai e la sagacia popolare di San Frediano. Un meltin’ pot di persone, modi di essere ed idee che avrebbe fatto diventare quel cinema un incredibile punto di riferimento culturale per gli anni settanta e indirettamente per tutti gli anni ottanta.

Federico Micali

 

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