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Un viaggio attraverso la propria storia musicale. Compiuto da solo, con un occhio alle immagini d’epoca (anche del padre), ai video. Un percorso di due ore, generoso verso il pubblico, e forse anche verso se stesso. Elvis Costello ha impostato così il proprio Detour che lo ha portato in molte città italiane. La tappa fiorentina è stata particolarmente importante, sia per l’accoglienza e il numero degli spettatori, sia per un passato che lo lega alla città compresa la conoscenza con Ernesto de Pascale che lo ha ospitato ne Il Popolo del Blues radiofonico nel 2004.
La scaletta ha avuto momenti stilistici diversi: Costello ha iniziato in chiave punk. Chitarra acustica amplificata per riproporre brani degli Attractions come Accident Will Happens, ma anche Ascension Day, brano scritto con il compianto Allen Toussaint. Poi eccolo al pianoforte a far rivivere i pezzi degli Imposters con in evidenza She’s Pulling Out the Pin e il classico Shuipbilding. Quindi intermezzo vintage alla chitarra con le atmosfere swingate di Walkin’ My Baby Back Home, She (di Charles Aznavour) e della canzone Toledo scritta con Burt Bacharach. A questo punto lo spettacolo decolla definitivamente con Costello ormai padrone non solo del palcoscenico ma anche della sala intera grazie anche alla tipologia di spettacolo con molti momenti parlati, trasformando un teatro in un ambiente intimo.
All This Useless Beauty di June Tabor è semplicemente perfetta, così come la festeggiatissima Alison mentre brani del periodo Attractions come Everyday I Write the Book e Watching the Detectives riescono a scaldare ancora di più il pubblico. Che alla fine si alza in piedi per ascoltare gli ultimi pezzi cantati senza microfono a dimostrare generosità e stato di grazia vocale, ovvero (What’s So Funny ’bout) Peace, Love and Understanding e I Want You. Bella serata grazie a un artista pieno di storia ma anche di un futuro tutto da scoprire.
Michele Manzotti
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