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Il triestino Mike Sponza è, con merito, considerato uno dei nomi più prestigiosi del blues a livello internazionale. L’uscita del suo recente cd Ergo Sum è stata l’occasione per approfondire la sua conoscenza.
Mike puoi raccontarci brevemente quando e come ti sei avvicinato alla musica ed al blues ?
Come molti musicisti della mia generazione: ho scoperto il blues partendo da alcuni dischi che giravano per casa. Ero attratto di più da quelli con un certo sound, un certo groove. Non sapevo ovviamente di cosa si trattasse ma, poco a poco, ho capito che si trattava di blues, soul, rock’n’roll: black music, in breve. Così, ho passato i miei teenage-years a studiare questa musica e poi a suonarla in una band verso i 17 anni…
Quali sono stati i tuoi primi idoli musicali e gli artisti che maggiormente ti hanno influenzato ?
C’erano i dischi dei Beatles, che ancora oggi sono per me un faro illuminante. La scena inglese mi ha sempre affascinato tantissimo, per cui ho ascoltato i classici Mayall, Clapton, Korner, Van Morrison e da lì sono passato agli USA, dai classici alle cose moderne. Adoro Tom Jones, un artista dalle radici profondamente blues.
Chitarrista, cantante, compositore, in quale di questi ruoli ti senti più a tuo agio e ti regala maggiore gratificazione?
Mi piace scrivere canzoni che poi canto suonando la chitarra… è tutto collegato: ogni “ruolo” è funzionale all’altro. La chitarra però è sicuramente al centro di tutto. Sì, direi che prima di tutto sono un chitarrista.
La tua carriera solista è atipica, sei diventato una sorta di catalizzatore nell’ambiente Blues Centro Europeo con la Mike Sponza & Central Europe Blues Convention e i relativi progetti Kakanic Blues. Come ti è venuta questa idea e come riesci a coordinare artisti di una dozzina di stati differenti ?
L’idea nasce frequentando fin dagli anni ’90 le scene blues del centro Europa. Constatai come il blues fosse un vero linguaggio comune (c’erano ancora i confini), ma ognuno lo proponeva in modo molto personale e legato al proprio background, senza cliché ed imitazioni.
Ho pensato che sarebbe stato bello fare un progetto in cui tutto questo si mescolava e provare a dar vita ad un sound nuovo, molto europeo.
I musicisti della Convention sono persone eccezionali ed è sempre stato facile lavorarci: no ego trip, no prime donne, tutti rilassati.
Carl Verheyen, Bob Margolin, Ian Siegal, Duke Robillard, Herbie Goins, sono solo una parte degli artisti con cui hai collaborato. Per te è diventata la “normalità” o confrontarsi con questi mostri sacri è sempre un’emozione e fonte di ispirazione ?
E’ sempre emozionante iniziare una collaborazione con un nuovo artista. Con Herbie Goins è stata un’avventura molto profonda e realmente rootsy. Con Bob Margolin ho riscoperto la mia passione per il Chicago blues. Con Ian siegal e Dana Gillespie abbiamo lavorato a diversi progettii. Con altri musicisti non è stata proprio una passeggiata, ma poi sul palco è stato magnifico come ad esempio con Georgie Fame o Lucky Peterson. E’ bello avere le collaborazioni, ma bisogna stare attenti a non restare ingabbiati – ed è per questo che da un po’ di tempo propongo solo la mia band per i live. Non è facilissimo, ma va fatto.
Con il compianto Guido Toffoletti hai suonato sia in studio che dal vivo, cosa ti ha insegnato questa esperienza ? Per quanto ne sai, pensi ci sia del materiale inedito che possa essere pubblicato per onorare un artista che tanto ha fatto per divulgare il blues in Italia? Mi confermi che una delle tue chitarre preferite è appartenuta a Guido ?
Avevo 25 anni quando ho iniziato a suonare con Guido Toffoletti, non sapevo nulla di show business, di come gestire una band, di tante cose. Ho imparato molto da lui, e gliene sarò sempre grato. E’ stato un bellissimo periodo ( finito non nel migliore dei modi), e ancora oggi tra amici musicisti di quel giro si scherza molto “alla Guido”. Non penso che ci sia del materiale inedito: le ultime session mi pare siano state pubblicate tutte… bisognerebbe chiedere alla label. Guido pubblicava tutto quello che registrava. Le chitarre… qualche mese dopo la sua scomparsa fui contattato dall’avvocato della famiglia che mi chiese se ero interessato ad acquistare qualche strumento, e ne comprai due; una lo uso regolarmente, una fantastica Gibson rossa degli anni di Eisenhower. L’altra è un Dobro che ho suonato in tutti i miei dischi. Mi chiesero se volessi anche la Rolls Royce del ’59, ma purtroppo lasciai perdere… Anzi, se vogliono propormela adesso…
Con il tuo recentissimo, e ottimo cd, Ergo Sum, in coppia con Ian Siegal e la partecipazione di Dana Gillespie hai avuto un’idea particolarissima, prendendo spunto dai testi di autori latini classici per creare le liriche in inglese dei brani. Vuoi parlarcene in modo più esaustivo?
L’idea mi è venuta una sera leggendo alcune poesie di Catullo: gelosia, amori non corrisposti, donne sfuggenti… tutti temi molto blues! Ho approfondito, allargato il campo, ho chiesto aiuto alla mia professoressa del liceo che ha fatto una selezione di 30 poesie su cui ho iniziato a lavorare. Mi sono ritrovato quindi con dei testi di derivazione classica, con un genere musicale “classico” (per il XX secolo…): ho provato a bussare al più classico studio di registrazione possibile – Abbey Road. Il più “blues-oriented” dei produttori in-house, ha apprezzato il progetto e si è proposto come produttore. Ecco, tre anni di lavoro di 5 righe. Il disco è stato registrato nello Studio 3 – quello di “The dark side of the moon” per intenderci. Mix e mastering anche ad Abbey Road. Fare musica lì è incredibile, tutti ti mettono nelle condizioni migliori per dare il massimo, senza stress, ed il suono che ne esce è incredibile. E’ davvero un posto magico. Mi piace ogni aspetto del disco, ma sono soprattutto molto soddisfatto dei testi – e dalle recensioni che arrivano, direi che questo è il punto di forza di Ergo Sum.
Sei soddisfatto dei riscontri che sta ottenendo Ergo Sum e a quali progetti futuri stai pensando ?
Sono molto soddisfatto. La promozione sta andando benissimo, e il disco ha raggiunto ottime posizioni nelle classifiche di Living Blues (#16) e Itunes UK (#9). C’è ancora molto da fare, sta per uscire il vinile, un nuovo videoclip con Dana Gillespie. Ho iniziato a lavorare su due nuovi album, e penso di ritornare agli Abbey Road Studios ad aprile 2017: ci sarà nuovamente Rob Cass alla produzione, Dana Gillespie e diversi musicisti inglesi.
In Europa e negli Stati Uniti, i tuoi cd ottengono consensi e riconoscimenti ed i tuoi concerti hanno sempre un ottimo riscontro di pubblico. Anche altri tuoi colleghi italiani, paradossalmente, ottengono più soddisfazione al di fuori dei nostri confini. Cosa pensi che manchi, in Italia, per attribuire i giusti riconoscimenti ad artisti che sono palesemente di livello internazionale ?
E’ una domanda che non ha risposta. Sarebbe facile dare la colpa ai media, alle major, ai grandi promoter: insomma scaricare il problema sul “sistema” musicale italiano. In realtà nell’equazione vanno inseriti anche i musicisti ed il genere suonato… Mi spiego: se guardi le utilizzazioni delle playlist di Spotify, nel mondo, il blues si attesta sempre sulle ultime posizioni… persino negli USA viene dopo il Swiss Rock ed il Norwegian Pop. Negli Stati Uniti… a casa di Muddy Waters… In queste situazioni, il musicista blues ha una fantastica alternativa: suonare! Come diceva il vecchio Frank: “Shut up ‘n play yer guitar.”
Cosa consiglieresti a dei giovani che volessero intraprendere l’attività di musicista blues ?
Come detto prima, suonare il più possibile, ma principalmente di non fermarsi a riproporre pedissequamente i soliti brani che hanno fatto la storia del blues. Conoscerli deve fare parte del background musicale, ma non ci si deve fossilizzare, quindi puntare su brani originali aggiornando le sonorità, cercando di interpretare i nostri tempi facendo un blues che possa avvicinare e interessare anche i giovani. In questo, che piacciano o meno, artisti come John Mayer e Joe Bonamassa stanno facendo scuola.
Stefano Tognoni
Immagini fotografiche concesse dal musicista
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