A volte può capitare che si vadano a recuperare lavori discografici incisi in un passato relativamente recente a cui, per innumerevoli motivi, non fu data al tempo la dovuta attenzione. E’ ciò che accade con i tre album che seguono (incisi in una finestra temporale che va dal 2013 al 2014) i quali hanno in comune il riferimento alle sonorità elettro-acustiche del rock cantautorale americano dei primi anni ‘70, pur declinate in differenti maniere.
Michele Anelli & Chemako
(USR – Ultra Sound Records)
Nel 2014 Michele Anelli ed il trio “Chemako” si riunirono in sala di incisione per fissare su disco (con titolo omonimo) una collaborazione già ampiamente testata dal vivo, caratterizzata da una solida coesione ed un’idea di suono sviluppata di comune accordo: il mescolarsi di una scrittura per lo più vicina agli stilemi folk ma forgiata con un deciso approccio elettrico. Gli esiti furono diversi ed interessanti: malinconiche ballate come “La Strada Di Mio Padre” (dall’arrangiamento essenziale ma affascinante) o “Lettera dal Finestrino – Ticino” fanno da contrappunto a ricerche sonore anche inaspettate: “Io Lavoro Per I Tuoi Sogni” parte da ritmi funk cadenzati per suggerire evoluzioni chitarristiche che sarebbero piaciute ai Crazy Horse di Neil Young, mentre “Vorrei Vederti Libera” ha l’odore dolciastro ed inquietante delle paludi della Louisiana. A posteriori, è un peccato che la collaborazione di Anelli con i Chemako si sia limitata ad un solo disco: rimane comunque una testimonianza duratura ed adeguata di un momento importante ed ispirato nella carriera del cantautore piemontese.
Adriano Tarullo – Anch’Io Voglio La Mia Auto Blues
(Produzione indipendente)
www.canzoniabruzzesi.com
www.adrianotarullo.com
L’urgenza espressiva che permea “Anche Io Voglio La Mia Auto Blues”, il quarto album di Adriano Tarullo uscito nel 2013, si nutre contemporaneamente della passione per le sonorità “roots” del sud degli Stati Uniti e della reverenza per la terra d’origine, l’Abruzzo (il cui dialetto è ingrediente importante nell’economia del disco). Ognuna delle 13 tracce è uno spaccato di quel non-luogo universale che sta tra la città e la campagna, in cui l’individualità del singolo è costantemente minacciata tanto dalla spersonalizzazione urbana quanto dal cinismo della provincia. Grazie ad un livello tecnico di rilievo che caratterizza tanto Tarullo quanto i vari collaboratori che si alternano di volta in volta al suo fianco, si spazia agevolmente tra i generi: ad esempio, dalle venature folk di “Felice a(p)pagamento” al southern rock della title track, passando per lo swing soffuso di “Autore canta”, senza mai difettare di gusto e sincerità. Particolarmente ispirate le riletture di canti tradizionali abruzzesi, come “Cimerose” e “Canto di Mietitura”.
(USR – Ultra Sound Records)
L’idea che il “Dude” del titolo sia il Drugo di Lebowskiana memoria è confortata dalle immagini di autostrade, motel di periferia e festini ad altissima gradazione alcoolica che inevitabilmente si affacciano alla mente scorrendo le 10 canzoni di “On”, il disco d’esordio dei The Dude’s Company. Il loro ambiente naturale è quell’incontro/scontro ad alto contenuto voltaico tra country e blues che ossessionò i Rolling Stones dei primi anni ’70 ed ebbe i suoi alfieri definitivi nei Lynyrd Skynyrd. Non ci si sorprende quindi di ritrovare la linfa ritmica del rock-blues più archetipico in pezzi come “A Night In Paris” o “I Don’t Mind”. Stupiscono favorevolmente alcune divertenti escursioni nell’old-style rag (“Courtesy Blues” e la conclusiva “Two Dogs”). Fa piacere anche trovare la cover di “So So Real”, del mai dimenticato Willy DeVille. Notevole anche la presenza di ospiti non di poco conto: tra gli altri, Maurizio “Gnola” Glielmo e la coppia Jimmy Ragazzon/ Paolo Canevari tra gli altri (Mandolin Brothers).
Pietro Rubino
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