il popolodelblues

Special

Theyesandesye a Roma con Lou Rhodes

24 novembre 2016 by Michele Manzotti in Special

www.lourhodes.com

Roma, Quirinetta, 22 novembre 2016

Il concerto

Si è presentata in trio, con due talentuosi musicisti impegnati su più strumenti. Una cornice sonora per uno stile acustico, basato su testi e melodie ben riconoscibili, con frasi che solo apparentemente non trovano una conclusione, ma che hanno senso compiuto nella forma canzone. Pensare che Lou Rhodes con i Lamb ci aveva abituato a un’elettronica che a suo tempo ha segnato la scena britannica. Ora però l’atmosfera è più intima e poetica. Dopo sei album con i Lamb e con  album da solista, tra cui il Mercury Prize con l’album Beloved One, ecco Theyesandeye, il disco uscito da poco per l’etichetta Nude (distribuzione Goodfellas) e il cui repertorio è stato alla base del concerto romano alla Quirinetta, data esclusiva per l’Italia.

Un disco che contiene canzoni come Sea Organ, Them, All The Birds, Angels, canzoni che mettono in risalto una voce legata alla melodia attorno a cui ruotano archi, arpa, chitarra, basso, batteria per un’architettura sonora di grande solidità. Un concerto nel segno della gradevolezza e della professionalità con un successo di pubblico, piuttosto numeroso e molto attento. Una serata aperta dalla formazione romana Orange8, un duo che si rifà alle sonorità psichedeliche dei ’70, nelle quali non mancano elementi prog, riviste con atmosfera attuale.

L’intervista

Il suo suo attuale è molto legato al cantautorato acustico dei grandi maestri, a partire da Nick Drake. Quanto questo mondo l’ha influenzata quando ha iniziato a suonare?

Mia madre era una folksinger e ho potuto ascoltare tutta la sua collezione di dischi. C’era molto materiale che veniva dalla California, da Crosby Stills Nash & Young a Joni Mitchell. Questa musica ha rappresentato un’influenza importante.

Lei è inglese, tra le sue fonti c’è anche il folk britannico nel suo modo di scrivere?

Non particolarmente. Adesso ascolto generalmente musica acustica, che non so se si può definire con la parola folk. Penso a personaggi come Sufjan Stevens perché costantemente riesce a sorprendere il suo pubblico, oppure Devendra Banhart. C’è un sacco di materiale interessante in giro, che proviene principalmente dagli Stati Uniti. Le faccio l’esempio del mio album. un progetto che va oltre i confini dell’Atlantico. E’ stato registrato in Inghilterra a Bath e mixato in California da Noah Georgeson.

Il suo presente è prevalentemente acustico, ma nel suo passato c’è l’elettronica. Le mancano talvolta alcuni effetti, anche per completare il suo suono?

In questo contesto direi di no. Mi chiedono spesso quale musica preferisco: quella che faccio da solista adesso è la più vicina al mio cuore e anche più facile da portare in luoghi da concerto. Quella con i Lamb ha rappresentato un’avventura più grande: noi facevamo musica perché il pubblico si muovesse e ballasse. Mi piace avere affrontato entrambi i linguaggi, che restano diversi l’uno dall’altro.

Michele Manzotti

 

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