(Off Label Records)
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Una ventina di secondi della opener “Bo Weavil”, ed è subito chiaro il terreno di caccia su cui “The Dust I Own” giocherà la sua partita: un ipnotico riff di slide guitar viene progressivamente insidiato da echi elettroacustici per i quali est ed ovest, nord e sud smettono di contare. E’ proprio nel lato più sciamanico ed arcaico della musica blues, nelle sue reminiscenze africane, che prende forma la poetica di Andrea Laino – qui alle prese con il suo primo vero album (se non contiamo un EP del 2014). C’è anche altro, oltre ad un definito intento sonoro: una vena compositiva che sposta felicemente la rotta verso sponde paludose in cui Tony Joe White o Chuck E. Weiss sarebbero perfettamente a loro agio. I Broken Seeds – fondamentalmente lo stesso Laino e Gaetano Alfonsi alle percussioni ed effetti vari – si avventurano in un viaggio crepuscolare, a tratti onirico, in cui la tradizione viene riletta (si ascolti l’ottima versione di “Pay Day” – uno dei pezzi meno conosciuti di Mississippi John Hurt, che negli ultimi tempi fa curiosamente capolino nel repertorio di diversi artisti italiani) e nuove mappe vengono tracciate (“Fate Of A Gambler”, quasi un ponte verso la trance music; la title track stessa, che sembra provenire da un giovane Tom Waits perso nel deserto). Si associano via via altri compagni di viaggio: la voce di Eloisa Atti nella sbilenca “On The Wood”, le chitarre elettriche di Alessio Maglioccheti Lombi – aka Poor Bob dei Dead Shrimp, altro “mad professor” della slide area – in “Old Tape Of Memories” e nella succitata “Bo Weavil”. Molto particolare il contributo del sousafono di Mauro Ottolini, che dona un carattere particolare in diversi dei 9 pezzi del disco. “The Dust I Own” è esordio solo dal punto di vista formale, vista la qualità ed intensità del materiale presentato: il viaggio che Andrea Laino compì nel 2013 a New York in cerca di ispirazione ha dato i suoi (strani) frutti.
Pietro Rubino
Tagged Andrea Laino, blues, Roots, swamp