E’ uno dei gruppi simbolo degli anni 80. Una di quelle formazioni che grazie ai canali di video musicali è entrata nelle case di tutti gli appassionati di rock. Con un particolare seguito in Italia. I Simple Minds sono venuti in tour nel nostro paese per presentare il loro spettacolo Simple Minds Acoustic, basato sul disco omonimo uscito a novembre scorso. Un ritorno alle origini con brani come Chelsea Girl, Waterfront, Don’t You (Forget About Me) rivisitati con arrangiamenti diversi, più essenziali ma di impatto immutato all’ascolto. In vista del concerto fiorentino, che vede sul palco anche la cantautrice KT Turnstall, parliamo con il cantante Jim Kerr che è da sempre il simbolo dei Simple Minds.
Che musica ha ascoltato da giovane e quanto ha caratterizzato poi il suono del gruppo?
Quando sei un teen ager ascolti musica diversa da quella dei tuoi genitori. Potrei citare Marc Bolan e i T Rex, o qualche brano dei Rolling Stones, anche se la folgorazione arrivò con Ziggy Stardust di David Bowie nel 1974. Inoltre a Glasgow esisteva un teatro dove facevano regolarmente tappa personaggi come Who, Alice Cooper, Mott The Hoople. Io facevo il ragazzo di bottega in una macelleria e mi sentivo ricco con le mie cinque sterline di compenso che spendevo in concerti e dischi.
E poi ha iniziato a fare musica di persona negli ’80, che atmosfera si respirava?
Più che altro eravamo influenzati dal modo in cui tanti artisti si rivolgevano verso il pubblico per conquistarlo. Inoltre se mi avessero detto che avrei fatto la rockstar, non ci avrei mai creduto, piuttosto l’astronauta! D’altra parte a Glasgow non c’era la possibilità di occuparsi di musica ad alti livelli, con le etichette discografiche o i canali televisivi che avevano sede a Londra.
Veniamo al concerto che presentate. Non c’è dubbio che il repertorio di quegli anni sia il più conosciuto dal pubblico. Perché questa riproposta?
La storia torna indietro, ma va dato il giusto valore alle parole “unplugged” o “acustico”. In molti infatti sono portati a pensare a un tipo di esecuzione dove i musicisti stanno fermi su una sedia, magari con una candela accanto, suonando la chitarra acustica e poco altro come succedeva una volta su Mtv. Una situazione che può annoiare il pubblico. Poi c’è stata l’occasione di un festival in Svizzera a Zermatt dove le disponibilità economiche non mancavano. Allora mi sono detto: “facciamolo, ma sul serio”.
Quando ha ascoltato la registrazione dei brani rivisitati cosa ha pensato?
La sensazione che ho avuto è stata molto positiva. Agli arrangiamenti hanno partecipato i chitarristi Charlie Burchill (mio compagno di gruppo da sempre) e Gordy Goudie che hanno saputo dare una nuova vita ai pezzi, che sono stati preparati accuratamente in vista del festival svizzero. Poi la registrazione è avvenuta a Glasgow.
C’è anche un brano di un altro autore, Richard Hawley. Come è nata questa idea?
Non ho mai conosciuto Richard Hawley, ma è stato molto curioso il contatto con la sua musica. La canzone era stata utilizzata per un documentario sulla BBC e ne ero rimasto subito folgorato. L’ho recuperata e mi sono accorto subito che la potevo intrepretare. Poi i management si sono messi d’accordo. Lui è un eccellente musicista, ma diciamo che ho raccolto la canzone così si fa come una conchiglia sulla spiaggia.
Michele Manzotti
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