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Dal 17 al 20 agosto, nel Galles meridionale e per la precisione a ridosso di un paesino chiamato Crickhowell, si è svolta la quindicesima edizione del Green Man Festival, una manifestazione tanto cara al Popolo del Blues e “scoperta” grazie all’impareggiabile fiuto di Ernesto de Pascale. Quest’anno il cartellone, particolarmente ricco per il raggiungimento del quindicesimo anno, ha come al solito fornito più di uno spunto per riflettere e scoprire ed ascoltare cose nuove nonostante la brutta abitudine degli ultimi anni ad incrociare più concerti allo stesso orario. Il Green Man Festival ha da sempre rappresentato un’oasi, una parentesi bucolica, un poetico mix tra un festival folk, una sagra di paese, un campeggio estivo per famiglie ed un parco giochi per piccoli. Una magia che si ripete ogni anno, puntualmente, come un mago che ogni volta, allo stesso giorno, esce dalla lampada e con un tocco popola la vallata di fate, bambini, musicisti e giullari per celebrare le gesta dell’”Uomo Verde” che popola le foreste a ridosso delle Black Mountains.
Ma c’è qualcosa che sta cambiando e si comincia ad avvertire: nell’aria c’è la netta sensazione che una parentesi, un hype più che decennale, stia segnando ormai il passo lasciandosi dietro una serie di “cose carine” che oggi suonano come fuori tempo massimo. La sensazione è ancora più netta quando alla luce delle esibizioni live, ci si rende conto che son poche quelle che passano al filtro dell’intensità, dell’urgenza, dell’emozione e – perché no – a quello delle mutate condizioni storiche di questi ultimi anni.
Cosa resta allora? Di sicuro resta l’esibizione di Alasdair Roberts, uno dei migliori e degli ultimi folk singer ancora in giro, degno erede di nobili padri quali Bert Jansch e John Renbourn, capace di emozionare fino alle lacrime e di raccogliere intorno al palco un nugolo di ipnotizzati ascoltatori che vibrano ad ogni tocco delle sue corde. Resta la grandezza di Michael Chapman, il quale, forte del suo ultimo album ( “50″, 2017 Paradise Of Bachelors) che sicuramente sarà protagonista di tante playlist di fine anno, si presenta sul palco da solo, con un cappellino da redneck, gli stivali consumati ed una t shirt con la pubblicità di un rivenditore di pneumatici, mette mano alla chitarra e ci incanta con storie che sanno di polvere, di viaggio, di strane cameriere di sperduti diners affollati da camionisti scazzati e tacitu
Fanno ben sperare le sperimentazioni e le alchimie del progetto D.D Dumbo di Oliver Hugh Perry il quale, grazie ad un’otttima band e ad un originale uso della sua dodici corde, produce un sapiente mix tra musica dei migliori anni 80, world music, psichedelia e si proietta sicuramente tra le cose da tenere d’occhio nei prossimi anni. Resta immutato e ben solido il fascino della musica dei Lambchop: elegante, sontuosa, capace di monopolizzare l’attenzione con lentezza. Un’apparente indolenza che ben presto si rivela nella sua reale veste di musica estremamente ricercata, un insieme di alt country, elettronica e minimalismo in cui ogni tassello è precisamente incastonato al suo posto ed il cui risultato finale è un mosaico dalla ineguagliabile bellezza.
Sorprende ed entusiasma lo show di Richard Dawson: un folk ruvido dalle armonie pronte a sgretolarsi in sonorità aleatorie ed urla primitive con il fantasma di Captain Beefheart che aleggia sul palco per tutto il tempo. Un live act di quelli che lascia il segno, uno di quei concerti che ti fa sudare anche se sei fermo. Quando l’intensità è la migliore risposta a domande del tipo “dove sta andando la musica in questo tempo”. Diverte, esalta e commuove lo show di Julian Cope il quale, prima alla chitarra e poi al sintetizzatore, si esibisce in uno show in cui sfoggia tutte le sue doti di narratore, performer e soprattutto cantante. Di lui si è ultimamente parlato per la bellezza dei suoi libri ma non appena comincia a cantare si resta ammutoliti dalla intatta bellezza della sua voce, dalla estrema eleganza del suo stile compositivo e soprattutto si torna indietro nel tempo quando con gli amici ci si scambiava le cassette dei Teardrop Explodes meravigliandosi di quanto quella musica fosse già tanto “avanti”.
La domanda a questo punto è la seguente: cos’è, allora, che non resta? La risposta non è semplice.Di sicuro, passeggiando per il Green Man Festival, si è avvertito che nell’aria l’atmosfera era diversa perchè evidentemente diverso è lo scenario politico e storico che stiamo vivendo e di conseguenza diversa ci si attende che sia la risposta da parte della musica. Quest’ultimo decennio ha prodotto un’enorme quantità di pop alternativo tendente al mainstream le cui sonorità sono apparse quest’anno immediatamente inadeguate ai tempi corrrenti, soprattutto in considerazione delle terribili notizie che giungevano dall’esterno.
Nel caso del Green Man Festival questo è valso per artisti di cartellone come Angel Olsen, Fionn Regan e finanche per un artista tanto atteso quale Michael Kiwanuka. Concerti ben suonati con musicisti di prim’ordine, melodie accattivanti e ritornelli indovinati non bastano più per poter attraversare la barriera che separa il bello dalll’indimenticabile ed in questi ultimi anni ci siamo circondati ed accontentati di tantissime cose belle come se fosse un delitto pretendere qualcosa di più. Da qualche parte, come è sempre avvenuto, dovrà pur scattare qualche scintilla, ne siamo certi. Ci crediamo. Qualcuna di queste scintille è stata avvistata qui al Green Man Festival ma non basta ancora. Ci vuole più coraggio, più rabbia e meno mediazione. Per questo, alla fine di questa ennesima rassegna, nelle orecchie e negli occhi non restano le tante belle canzoni ma restano impresse invece le grida delle Hinds, quattro ragazzine spagnole che, il giorno dopo l’attentato alle ramblas di Barcellona, sono salite sul palco con una mise a metà tra le Bananarama e Happy days e ci hanno stordito con un rock semplice, diretto, genuino, sincero, gridandoci in faccia tutta la loro gioventù e la loro voglia di suonare. Potrebbe essere un ottimo inizio.
Giovanni de Liguori
Nelle foto di Giovanni de Liguori: Alasdair Roberts, Michael Chapman, D. D Dumbo, Julian Cope, Angel Olsen
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