Il 3 settembre scorso si è spento Walter Becker, musicista, produttore e fondatore, insieme a Donald Fagen, degli Steely Dan.
Non è stato facile raccogliere le idee e poter scrivere questo articolo. Non lo è stato perchè oltre al dispiacere ed al cordoglio che una scomparsa del genere può comprensibilmente procurare, il nome degli Steely Dan è in Italia indissolubilmente legato all’opera di divulgazione, sia essa radiofonica che giornalistica, compiuta da Ernesto De Pascale per il quale questa band ha sempre rappresentato l’emblema della perfezione fatta pop, il metro di paragone per qualsiasi cosa venisse composta o suonata, il consiglio da dare a chiunque gli chiedesse cosa ascoltare.
Personaggi indubbiamente spigolosi, difficili, Walter Becker e Donald Fagen sono stati i cantori di un’America elegante ma allo stesso tempo cinica, crudele, disillusa, osservata come in un film in perenne soggettiva e narrata con lo stesso disincanto di un Marlowe. Musicalmente ineccepibili, l’avventura degli Steely Dan nasce in quella New York che ha spesso fornito gli scenari per le loro canzoni. Nasce con l’entusiasmo e la dedizione di due musicisti che, seppur giovanissimi, avevano già metabolizzato la grande tradizione americana di Ellington, Gershwin e Basie.
Come due provetti alchimisti hanno cristallizzato la formula dei primi Crusaders e dei blues crooner alla Bobby Blue Bland per poi attingere a mani basse, ma sempre intelligentemente, dal jazz progressive di Stan Kenton.
Un suono, il loro, che ben presto si è fatto marchio di fabbrica. Una promessa – micidiale- quella degli Steely Dan, di alzare l’asticella della perfezione portandola sempre più in alto rispetto al disco precedente. I testi, quelli delle loro canzoni, che a dispetto della lucidissima patina apparentemente perfetta, pulita, immacolata, scavavano invece nella più completa disillusione cantando di giovani yuppies falliti, tossicodipendenze, feticismi, tradimenti, errori ed amori balordi destinati a tramontare miseramente sin dall’inizio. Il tutto però senza mai strizzare l’occhio al facile e furbo melodramma perché, vedete, certe storie, proprio perché destinate a finir male, meritano di essere raccontate più e meglio di altre e più è profondo l’abisso del dolore, della vergogna e della miseria più sontuosa era la veste che gli Steely Dan riuscivano a cucire addosso a tali storie.
Non ce ne vogliano, pertanto, quanti non riescono ad andare oltre, quanti credono che la musica degli Steely Dan sia stata soltanto algido esercizio di perfezione. Noi sappiamo che in questa note c’è sempre stato altro e che con Walter Becker abbiamo perso non solo un eccelso musicista e compositore ma anche un uomo capace di leggere e poi narrare con estrema ironia e distacco, il disincanto dell’uomo moderno.
Di tutto questo, di tutte le volte in cui la musica degli Steely Dan ci ha accolto nel suo cerchio di cultori cullandoci nella piacevole sensazione di appartenere a qualcosa di diverso, di altro, non possiamo non essere grati a Walter Becker.
Giovanni de Liguori
Nella foto: Becker con Ernesto de Pascale a Perugia nel 2009
Tagged Donald Fagen, ernesto de pascale, Steely Dan, Walter Becker