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Foto (C) J. Steinmetz dal sito dell’artista
Ha legato il suo nome all’esperienza Beatles. Come amico, come musicista, come artista (la copertina di Revolver). Klaus Voormann, berlinese che scoprì il gruppo ad Amburgo, è stato presente a Firenze per un omaggio proprio ai Fab Four. Lo abbiamo incontrato in quell’occasione.
Quale fu la sensazione quando ascoltò per la prima volta il suono dei Beatles?
«Fu grazie a loro che ho scoperto il Rock’n’Roll. Prima infatti io ascoltavo classica e jazz. Però rimasi colpito non solo dalla melodia e dalle canzoni, ma anche dal fatto che c’era una grande forza che proveniva da un piccolo palco di un club. Quando arrivarono ad Amburgo avevano una strumentazione di scarsa qualità: ma bastava ascoltare le voci di John e Paul oltre al modo in cui tutti suonavano per capire che ci trovavamo di fronte a una bella una sorpresa».
Che situazione trovò a Londra quando arrivò dalla Germania nei primi anni ’60?
«Non era ancora iniziato il periodo psichedelico, anzi si respirava ancora l’atmosfera post bellica. C’erano comunque molte band locali che si davano da fare nei club, ma le loro proposte erano principalmente cover che si sommavano al blues, un genere molto diffuso in quegli anni».
Lei è stato dal primo momento molto vicino ai Beatles e ovviamente avrà tanti ricordi. Ce ne può raccontare almeno uno?
«Nel primo periodo in cui arrivai a Londra fui ospitato da George. Rimasi colpito dalla casa: un appartamento senza mobili e decorazioni, poco curato. Come gli altri lui si era trasferito da Liverpool e nessuno aveva la famiglia con sé. A questa situazione si aggiungeva il fatto che tutto il giorno lavoravano come matti».
Lei dopo lo scioglimento del gruppo ha suonato in dischi solisti degli ex Beatles. Ce n’è uno che ascolta ancora oggi volentieri?
«Devo confessare che oggi non ho voglia di sentire tanta musica, e quindi non ho una gran memoria legata a queste produzioni. Ma se devo dire ciò che ascolto volentieri ritorno al periodo in cui la formazione era attiva. E quindi le faccio nomi di canzoni come Something, The Fool On The Hill, Strawberry Fields Forever. Quella sì che è grande musica».
Molti fan si ricordano di lei nel Concerto per il Bangladesh del 1971 divenuto poi un film. Come fu coinvolto?
«Tutto nacque a casa di George dove era ospite Ravi Shankar. Dopo aver visto in Tv le immagini della guerra in quel paese, entrambi decisero di fare un concerto di beneficenza. Allora George mi portò a Los Angeles e con lui iniziai a cercare i musicisti in varie città degli Usa come Nashville e Memphis. Tra l’altro trovai il chitarrista Jesse Ed Davis perché Eric Clapton non stava bene in quel periodo. Poi alla fine salirono entrambi sul palco».
Qual è la sua attività principale oggi?
«Continuo a lavorare ogni giorno come artista grafico. La musica appartiene al mio passato».
Michele Manzotti
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