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La tappa italiana (24 ottobre, Milano, Salumeria della musica) del canadese Matt Andersen è l’occasione per Il Popolo del Blues di parlare con lui. Del cantante-chitarrista avevamo già recensito il suo album Honest Man.
Sebbene tu sia originario del Canada, la tua musica ha molti punti di contatto con il soul ed il blues del profondo sud degli Stati Uniti. Come è nata questa sintonia?
E’ stata pressochè istantanea, dalla prima volta che ho sentito suonare blues dal vivo. Avrò avuto circa 17 anni, ed ero solito intrufolarmi di nascosto nei bar. Sono rimasto immediatamente stregato, c’era un’intensità in quella musica che non avevo mai sentito prima. Inoltre, diverse persone che andavo ad ascoltare giù a casa avevano suonato con parecchi artisti blues americani. Sono stato fortunato a poter imparare da loro.
“Honest Man”, la tua ultima fatica, è un album molto bello, profondo. Come si situa all’interno del tuo percorso musicale?
Ogni album che realizzo, per me, è un passo in avanti. In particolare, “Honest Man” mi ha portato molto più che in passato a collaborare con altri artisti. Sono uscito fuori dalla mia zona di comfort, che è una cosa che mi piace molto. Non amo ripetermi ed in questo senso “Honest Man” è stato decisamente un discostarmi dalla mia personale norma.
Sembra che rispetto al passato la componente soul stia avendo un peso considerevole sulla tua musica. E’ solo un’impressione o risponde ad una scelta precisa?
Ho sempre amato Il blues e la soul music. Sono una parte consistente del rock classico con cui sono cresciuto. Più ne sono esposto, più ci entro dentro. Non è una scelta cosciente, ma se ci penso mi accorgo che quella musica trova sempre la via per influenzare il modo in cui canto e suono.
Il tuo unico disco dal vivo, “Live From The Phoenix Theatre”, è essenzialmente un album acustico di una one-man band, mentre i tuoi lavori in studio vedono coinvolti diversi musicisti con arrangiamenti complessi. Hai intenzione in futuro di registrare un album “live” con una band al completo?
Sarebbe davvero divertente e sono sicuro che accadrà, prima o poi. Faccio la maggior parte dei miei concerti da solo, anche se da qualche tempo a questa parte sto suonando sempre più frequentemente in gruppo – e sono tutti musicisti eccellenti, devo dire. Sarebbe veramente bello avere un disco che catturi quel suono.
Sempre su “Live From The Phoenix Theatre” c’è un pezzo, “Working Man Blues”, che mostra la tua grande abilità strumentale con la chitarra acustica. Che rapporto hai con gli strumenti elettrici?
Spesso, quando sono con la band, suono la chitarra elettrica. Adoro farlo, è divertente poter alzare il volume! Sebbene mi senta più a mio agio con la chitarra acustica, sto arrivando ad un buon livello anche con la elettrica!
Qualche anno fa facesti uscire un disco natalizio, “Spirit Of Christmas”: un lavoro particolare, ma perfettamente riuscito. Come ti è venuta l’idea?
Qualche anno fa fui invitato a partecipare ad un tour natalizio, ed ho pensato che sarebbe stata un’ottima occasione per registrare un disco di questo tipo. Era qualcosa che volevo fare da tempo. Tengo molto al Natale, è un momento speciale che amo passare a casa con la famiglia. Sono cresciuto ascoltando un sacco di canzoni natalizie.
Nel corso della tua carriera hai incrociato diverse leggende musicali: Little Feat, Tedeschi Trucks Band, Buddy Guy…hai un ricordo particolare che spicca sugli altri?
Beh, ho avuto la possibilità di suonare “Willin’” sul palco insieme ai Little Feat! E’ stato un momento magico. In generale, sono stato fortunato a poter andare in tour con molti dei miei eroi. E’ un vero privilegio averli potuti vedere in azione.
Da poco ci ha lasciato Gregg Allman, un artista con cui sembri avere una particolare affinità dal punto di vista del canto…
Ho ascoltato un sacco di rock classico nella mia vita, specie quando ero molto giovane. Molti di quei cantanti sono stati influenzati dal blues. Gregg Allman era un esempio perfetto, al riguardo: aveva una di quelle voci che riconosci istantaneamente.
Che progetti hai nel prossimo futuro?
Finito questo tour, mi prenderò un po’ di riposo cercando di scrivere qualcosa per il prossimo album. Negli ultimi due anni sono stato molto spesso in giro a suonare. Mi farà bene avere del tempo per concentrarmi e gettare sulla carta le idee che mi girano in testa
Un ultimo consiglio per un eventuale vacanza in Canada. Quali sono i posti imperdibili, dal punto di vista musicale?
Sicuramente dovresti visitare la East Coast. C’è una lunga tradizione musicale e culturale da quelle parti, che si è tramandata per generazioni. D’altronde è così che sono cresciuto, suonando in casa con la mia famiglia ed i miei amici. Se ti riuscisse di partecipare ad un “kitchen party” (una festa casalinga a base di cibo e musica, n.d.r.), ti divertiresti un mondo.
Pietro Rubino
(intervista in inglese)
Even if you are from Canada, your music has many points of contact with the soul and blues of the deep south of the United States. When was this love born?
From the first time I heard it live. I would have been seventeen years old and sneaking into bars. The first time I heard blues performed live, it hooked me. The intensity of the delivery was something I hadn’t really seen before. A lot of the people I listened to from home played with many of the US blues artists. I was fortunate to be able to learn what I could from them.
“Honest Man” is your last work to date, and is a beautiful album, very deep. How is this album located within your artistic research?
I feel like every album is a step forward. Honest Man brought in a lot more collaboration than I had done before and took me out of my comfort zone a bit, which I Iike. I don’t want to make the same album over and over again and Honest Man was definitely a step away from the norm for me.
It seems that the soul component is having a considerable weight in your music respect to the past. Is it just an impression, or does it answer to a precise choice?
I’ve always loved blues and soul music. It’s a big part of the classic rock music I listened to growing up. The more I was exposed to it, the more I got into. It’s not a conscious choice, but it does always find it’s way into my singing and playing.
Your live album, “Live From The Phoenix Theater”, is essentially an acoustic disc, played almost exclusively alone. But your studio work involves several musicians, refined sounds and arrangements. Do you ever think to document this component alive as well?
It would be a lot of fun to do a live band album, I’m sure that it will happen someday. I play most of my shows solo but have been playing with a band more and more recently. I have a great bunch of guys that I play with. It would be a lot of fun to have a show on an album that captures that sound.
On the same album there is a tune “Working Man Blues”, which shows your great instrumental skill with the acoustic guitar. What kind of relationship do you have with electric instruments?
I usually play electric guitar when I play with my band. I love to be able to do that when I can. It’s a lot of fun to turn up loud. Although, I am much more comfortable on my acoustic, the electric is getting there though.
A few years ago you recorded a Christmas album, “Spirit Of Christmas”: a particuolar work, but perfectly successful. How did the idea come from you?
I was invited out on a Christmas tour and thought it would be a good chance to record a Christmas album. It’s something I wanted to do for a while. Christmas is special time at home with family and friends. I grew up singing a lot of those songs as a child.
During your career you’ve crossed you path with several musical legends: Little Feat, Tedeschi Trucks Band, Buddy Guy … have you a particular memory that stands out over the others?
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