L’appuntamento è il 24 giugno in uno dei simboli di Roma. Davanti al Campidoglio e sotto la statua di Marco Aurelio. L’ora è quella che va verso il tramonto in un inizio d’estate, stagione che nei primi anni Sessanta è stata scandita da brani come Guarda come dondolo, Abbronzatissima, i Watussi. Proprio l’autore e interprete di quelle canzoni, Edoardo Vianello, sarà protagonista di un concerto che celebra i suoi primi 80 anni con una carriera di lungo corso che ha contraddistinto più di mezzo secolo tra dischi e televisione.
Non è da tutti poter suonare in uno dei luoghi più belli del mondo. Come ci è riuscito?
Bussando a una porta, quella dell’assessorato alla cultura, che mi è stata aperta senza difficoltà. Avevo chiesto di poter utilizzare un’altra zona centrale, quella di Piazza di Pietra, per poter offrire alla città un regalo in occasione dei miei ottant’anni. Mi è stato risposto: “Certo, ma perché non la facciamo in piazza del Campidoglio?”
Chi sarà sul palco con lei?
La mia orchestra formata da 10 elementi: sarà un concerto che racconterà le circostanze piacevoli che hanno portato a 60 anni di carriera. Inoltre ho fatto un’altra richiesta che è stata accolta senza problemi; quella di poter avere la banda dei vigili urbani di Roma. Sto andando proprio alle prove con loro: ho scritto una canzone che si chiama Piano Piano durante la quale canterò con loro. Poi a fine concerto la banda, che ha una sessantina di elementi, la suonerà nuovamente senza la mia voce. Piano Piano contiene anche un messaggio per abituarsi ad affrontare lentamente le cose di ogni giorno.
E sessant’anni fa come nacque la carriera di Edoardo Vianello?
Con l’idea che inizialmente io potessi fare solo l’autore perché ritenevo di non saper cantare. I miei brani volevano far divertire, però serviva qualcuno che li interpretasse nel modo giusto. Solo Rita Pavone lo sapeva fare, prima con la Partita di Pallone, poi con il Cucuzzolo della montagna. Alla fine mi convinsi che solo io con la mia voce riuscivo a trovare il giusto equilibrio tra il senso del ridicolo e la genialità.
Tutto per caso, quindi?
Giuro, non immaginavo che potesse diventare un lavoro. Quando ho iniziato immaginavo che potesse essere un modo per socializzare o per fare qualche conquista amorosa non che fosse la partenza per una carriera lunga. Lo facevo con una bella dose di incoscienza come se fosse un gioco: pensi che l’arrangiatore dei primi brani miei era Ennio Morricone.
Però lei incominciò ad essere noto grazie a Il Capello…
Al successo, come a quelli successivi, contribuirono i testi di Carlo Rossi che erano fuori dall’ordinario. Proposi il pezzo in Rca quando avevo 17 anni, ma non ritennero di doverla incidere. Poi c’è stata una circostanza fortunata: nel 1959 avevo conosciuto Mina a San Benedetto del Tronto. Lei non mi aveva mai incontrato, ma sapeva che cantavo e con un gesto inconsueto oggi per stile e generosità mi invitò sul palco con quel brano, Due anni dopo mi invitò a cantarla a Studio Uno ed entrai in Tv dalla porta principale. Però dentro di me non ero ancora convinto quanto questo stile potesse avere successo. Ero anche timido e non avevo ancora una grande carica quando mi esibivo: mi consideravo più un cantante da juke box che da concerto. Quindi ero “quello dei Watussi”o “quello del Capello” più che essere identificato con il mio nome.
E da qui nasce lo stile Vianello con le canzoni non solo nei juke box ma anche nelle colonne sonore dei film popolari. Come si spiega questo successo?
Penso che sia stata l’immediatezza delle canzoni, la mia voglia di far divertire la gente. la passione di quando uno è giovane, la spontaneità dei testi che nascevano dalle idee improvvise di Carlo Rossi. Come nel caso di Abbronzatissima. In macchina lui uscì fuori con “che ne pensi di “Abbronzatissima, sotto i raggi del sole”? Risposi “che la canzone c’è già”. Poi cercai un inizio, quel “A A ” che Morricone anticipò facendo intonare le note dai tromboni a inizio del pezzo.
L’atmosfera balneare l’aveva già affrontata con Pinne, fucile e occhiali, pure questa diventata famosissima…
E anche qui l’idea la lanciò Rossi e con molta insistenza. E’ la mia canzone più breve: otto versi e sedici battute. Non era allungabile, la ripetevo all’infinito e mi sembrava una cosa ridicola. Poi pensai di rallentare tutto scandendo le sillabe. E funzionò”
Un altro grande successo fu I Watussi che invase le piste da ballo
Infatti mi accorsi che l’hully gully stava soppiantando il twist nei locali, serviva un inno ufficiale. Ripresi un’ulteriore idea di Rossi che aveva visto i Watussi in un film su Re Salomone. “Guarda, inizierei la canzone con Nel continente nero” e senza pensarci su risposi Paraponziponzipo. Anche qui la canzone era già fatta e con un po’ di mestiere la completai: infatti il ritornello è basato su un giro di blues”.
Oggi non si direbbe “altissimi negri”, magari ” altissimi neri”…
Ma allora era tutto diverso e nessuno si sognerebbe mai di cambiare il brano. Pensi invece che a Rossi avevo detto: “Ma che c’entrano i Watussi? Se una ragazza viene lasciata dal fidanzato e si chiude nella stanza vuol sentire una canzone su di loro? Piuttosto mette una canzone d’amore”.
Lei ha ricordato l’Rca italiana che produsse molti dischi importanti nei Sessanta e Settanta. Qual era il segreto di quell’etichetta?
L’esperienza con l’Rca è stata straordinaria, ma favorita da una circostanza. Un progetto musicale può essere valido quanto si vuole, ma senza soldi non è possibile realizzarlo. L’Rca italiana era una delle succursali che la casa madre americana aveva aperto nel mondo come scarico fiscale. Quindi non doveva creare utili per non doverli reinvestire in un secondo momento. Potevamo stare tutto il tempo a disposizione in sala di registrazione per ottenere il risultato migliore, cosa che non è possibile fare oggi per i costi che questo comporta. Pensi che su Claudio Baglioni venne fatto un lungo lavoro di perfezionamento prima di fare uscire i suoi dischi di successo. Oltre a Morricone, c’era Luis Bacalov come arrangiatore. E tra gli artisti Gino Paoli, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Sergio Endrigo. Al bar c’era sempre la possibilità di parlare e confrontarsi. Una lezione per la mia carriera successiva di produttore.
Arrivò anche Sanremo?
Precisamente tre edizioni, anche se il festival non è stato particolarmente significativo per la mia carriera. Il primo nel 1961: selezionavano canzoni, quindi mi limitai a mandarla e venne accettata. La cosa incredibile che incisi velocemente la canzone su una lacca alla Stazione Termini dove allora c’erano le macchinette apposite. Sapevo che c’era Mina e ingenuamente pensavo che lei avrebbe potuto cantare il pezzo, ma le avevano già assegnato Le mille bolle blu. Quindi l’organizzatore Radaelli chiamò me per interpretare il brano che si chiamava Che freddo, ma dato che ero poco conosciuto la casa discografica mi fece incidere un brano da mettere come lato B di un 45 giri, Come due eschimesi. Poco prima di entrare sul palco mi chiedevo chi me l’avesse fatto fare. Che freddo però venne comunque cantata da Mina, Claudio Villa, Sergio Bruni e diretta in una versione strumentale da Pino Calvi. Poi nel 1966 partecipai in coppia con Françoise Hardy con il brano Parlami di te: arrivammo in finale senza grandi risultati ma lei fu molto brava. Poi il 1967 con il tragico episodio di Luigi Tenco: presentavo un brano di Jimmy Fontana chiamato Nasce una vita che passò fatalmente inosservato.
A un certo punto lei smise di proporre canzoni “alla Vianello”. Come mai?
Andai alla trasmissione Tv di Renzo Arbore Per noi giovani cantando Il Peperone e senza troppi complimenti fui fischiato dai ragazzi del pubblico. Capii allora che il mio stile scanzonato non andava più così bene e mi sembrava assurdo continuare a proporre musica che poteva essere contestata. Nacque così la mia etichetta Apollo, fondata insieme a Franco Califano, per la quale passarono Renato Zero e Amedeo Minghi ma soprattutto i Ricchi e Poveri con i Sanremo di La prima cosa bella e Che sarà. Poi il gruppo cercò una casa discografica più grande e per una sorta di rivalsa creai i Vianella.
Perché con questo progetto sceglieste di cantare in romanesco?
Con Wilma Goich facevamo serate in cui proponevamo i nostri rispettivi repertori fino a quando non c’era il momento in cui proponevamo un brano insieme. Il pubblico apprezzava molto questa fase dello spettacolo anche perché tra noi scaturiva un’ottima intesa. Decidemmo quindi di fare un disco sperimentale per l’Apollo dove erano inserite due canzoni in romanesco, Vojo er canto de ‘na canzone e Lella. Proprio quest’ultime ebbero il maggior successo e ci dedicammo a questo tipo di repertorio. Tra l’altro il momento favorevole per noi coincideva con quello sfavorevole di Franco Califano. Con lui eravamo amici, ma ogni volta capitava che non potesse mantenere un impegno. Invece in quel periodo era detenuto in carcere, quindi era in qualche modo costretto a scrivere canzoni per noi. Dopo qualche anno però come Vianella non eravamo più tanto credibili. Non stavamo più insieme e la gente lo sapeva: volevamo comunque onorare gli impegni che piano piano si diradarono
I suoi successi però non erano stati dimenticati dal pubblico…
Infatti arrivò uno dei colpi di fortuna della mia vita: era il 1981 e uscì l’album di Ivan Cattaneo 2060 Italian Graffiati dove erano stati inseriti i Watussi e Abbronzatissima. E poi ci fu Carlo Vanzina che diresse il film Sapore di Mare nel 1983 con le mie canzoni nella colonna sonora. Alla fine, gli anni Sessanta, la loro atmosfera e quel tipo di musica erano tornati in auge. E questo succede ancora dopo tanti anni: Shakira ha girato uno spot pubblicitario con Abbronzatissima di sottofondo. Inoltre una serie americana ha messo nella colonna sonora Guarda come dondolo cantata da me. Il brano è arrivato al numero 10 della classifica di Billboard.
C’è stato un momento della sua vita artistica in cui ha detto: “E’ stata dura, ma ne è valsa la pena”?
Sicuramente i primi passi con Carlo Rossi e i suoi testi, l’esordio davanti al pubblico, la decisione di fare il progetto Vianella con Wilma Goich. Oppure il fatto di contare sugli arrangiamenti di Morricone quando era contattabile per poche lire. Ma penso anche che cantare in piazza del Campidoglio farà parte di uno di questi momenti.
Michele Manzotti
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