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Recensioni

Mike Sponza – Made in the Sixties

27 settembre 2018 by Luca Lupoli in Dischi, Recensioni

(Epops Music)

www.mikesponza.com

Questo nuovo opus di Mike Sponza passerà alla storia come il suo album meno blues ma forse come quello più originale. Mike propone una cosa inusitata per un musicista italiano: salire sulla macchina del tempo (in questo caso una Porsche 912) e andare a rivedere un mondo che fu e che sicuramente non tornerà, quello degli anni 60. E’ un sogno più che un viaggio, con la constatazione, al risveglio, che certe immagini sono sempre là, scolpite nella storia. E alla storia s’aggiungono musicisti che quella storia l’hanno forgiata con i loro talenti, come Pete Brown, il paroliere di Jack Bruce, lui medesimo cantante e poeta, insieme scrissero White Room che Sponza suona nei suoi concerti, e con il quale è cofirmatario di tutte le canzoni di quest’album. Altra figura mitica del British Blues, Dana Gillespie, attrice e cantante dal fisico e dalla voce esplosivi, con la quale Mike aveva girato un video con la canzone Thin Line. Eppoi la folksinger scozzese Eddi Reader, una figura intellettuale. Ciliegina sulla torta, Nathan James, cantante degl’Inglorious, che si rifanno all’epoca d’oro dell’Hard Rock. Consolerà sapere che, come d’uso, Maffioli, Buttinar e Bonivento presiedono sezione ritmica e tastiere. L’iniziale Made in the Sixties surfa su una ritmica serrata funky fino al bridge tipicamente anni 60 mentre Cold, Cold, Cold e’ quasi beatlesiana – il disco è stato registrato agli Abbey Studios – mentre in A young Londoner’s Point of View on Cuban Crisis, spunta un assolo di tromba di Chris Storr che sembra uscito da un libro di Leonardo Padura. Day of the assassin ha una bella slide e Glamour Puss – che s’ispira all’uscita dalle acque di Ursula Andress in Dr. No – quel sound mezzo romantico mezzo tenebroso rotto dal bridge anni 60. Even Dylan was Turning Electric che si riferisce alla conversione, molto criticata all’epoca, di Dylan alla chitarra elettrica – e’ un pezzo folk che gira improvvisamente in gospel. Si ritorna al funky liquido con Spanish Child con un grande assolo di Mike ben supportato dall’organo di Bonivento, che s’illustra in Good Lovin’ con Dana Gillespie. Altro pezzo beatlesiano Just at the beginning dove spunta un moog, l’invenzione progressive degl’anni sessanta. Chiude l’album la corposa Blues for the sixties, dove Mike presumibilmente rispolvera il Wah-Wah, altro attrezzo preistorico che alcuni chitarristi nostalgici continuano a usare. Pur non essendo un esperto di musica italiana, non mi viene a mente un altro disco così colto e così innovatore, pieno di citazioni storico musicali. Certo che per gustarlo bisogna aver un po’ ascoltato la musica di quei tempi, aver letto di certi passaggi indelebili. Infine, a me che non piacciono i cartoons, è piaciuta anche la copertina … un disco unico, destinato ad entrare nella storia della musica italiana.

Luca Lupoli

 

 

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