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29 dicembre 2018
Il festival purtroppo ha dovuto rinunciare alla presenza di Barry Harris. Il pianista, 89 anni e uno dei massimi esponenti del bebop storico, aveva provato regolarmente la sua esibizione ma un’indisposizione lo ha costretto a rinunciare all’ultimo momento. Ethan Iverson, a cui è stato affidato il tributo a Bud Powell con l’orchestra di Umbria Jazz nella seconda parte del concerto, ha quindi preso in mano anche la prima parte della serata che si è tenuta al Teatro Mancinelli inserendosi in trio con Ben Street al contrabbasso e Lewis Nash alla batteria. La sua idea alla fine ha funzionato perché ha affrontato un suo particolare omaggio a Thelonious Monk, a sua volta ispiratore di Bud Powell. Per quanto riguarda invece il progetto con l’orchestra Iverson, che ha debuttato come direttore di big band, ha affrontato classici di Powell come Tempus Fugit e Un Poco Loco oltre a ritagliare degli spazi per quintetto alternati all’orchestra. In un’edizione nel segno dei solisti di tromba, va citata la grande bravura di Inge Jensen, ma sottolineiamo la funzione di Nash come uomo d’ordine all’interno dell’esibizione e della struttura orchestrale. Bis composto dallo stesso Iverson che si è ispirato al contrappunto di Duke Elllington,
Sempre in tema di trombettisti ha pienamente convinto il progetto BBB di Flavio Boltro con Mauro Battisti al contrabbasso e Mattia Barbieri alla batteria presentato al Palazzo del Popolo. Anche senza uno strumento armonico come pianoforte o batteria i tre musicisti, con l’ausilio talvolta di loop station ed elettronica, hanno puntato su virtuosismo e melodia al tempo stesso. La tecnica usata da Boltro è quella di prendere delle cellule melodiche e svilupparle in durate più o meno lunghe. Coinvolgenti i brani che sono contenuti nell’album del trio come Spinning e Natale a Mosa.
30 dicembre 2018
Altro progetto da evidenziare è quello del sassofonista Rosario Giuliani che insieme a Luciano Biondini (fisarmonica), Enzo Pietropaoli (contrabbasso) e Michele Rabbia (batteria) che ha trovato la sua casa nel Museo Emilio Greco nelle mattinate del festival. In “Cinema Italia” il quartetto ha reinterpretato alcune delle colonne sonore più importanti del secondo Novecento. L’idea funziona perché non è assolutamente didascalica: i temi sono ben riconoscibili, ma gli spunti per il loro trattamento sono originali e di grande impatto per il pubblico. Temi come quelli di Otto e mezzo, C’era una volta in America e Nuovo cinema Paradiso sono quindi presentati in una nuova veste, con il linguaggio jazzistico che le valorizza. Ma anche la composizione originale Bianco e Nero, scritta dall’ideatore del progetto Giuliani, si merita un bel 10 e lode.
Un pezzo del Porretta Soul Festival è giunto a Orvieto per tutta la durata della manifestazione. Al Ristorante San Francesco e al Palazzo dei Sette la Anthony Paule Soul Orchestra con Wee Willie Walker ha conquistato il pubblico facendolo alzare spesso dalla sedia per applaudire e ballare al ritmo del grande soul. Una presenza significativa per la house band della rassegna (rappresentata in Umbria dal direttore artistico Graziano Uliani, divenuto il loro maestro di cerimonie per la sera di San Slivestro) che ha presentato molti brani del nuovo album After a While. Esibizioni di pura classe con il batterista D’Mar che non ha mancato di fare il solito show in mezzo al pubblico. Sono arrivati plausi al gruppo anche dal patron di Umbria Jazz Carlo Pagnotta e da Renzo Arbore.
31 dicembre 2018
In un’edizione con i solisti di tromba in evidenza, ha ottenuto molto successo il duo Tandem formato da Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello al pianoforte, già insieme negli High Five. Il loro è stato un omaggio alla canzone jazzata che poteva apparire tradizionale, ma che si è sviluppato in varie direzioni: il pianismo barrelhouse, l’uso della loop station, il trattamento delle figure musicali senza soluzione di continuità da uno strumento all’altro, l’uso della mano sinistra del pianista come contrabbasso. A partire da Domenica è sempre domenica, Tandem ha regalato un’ora di ritmo e melodia a un pubblico attento ed entusiasta a fine esibizione.
1 gennaio 2018
Il tradizionale concerto dell’1 di notte nella Sala dei 400 nel Palazzo del Popolo è stata l’occasione per celebrare i sessant’anni di carriera di Giovanni Tommaso. Era la quarta esibizione nell’ambito del festival de La dolce vita, dall’idea nata nel 2000 attorno alle colonne sonore. Insieme al contrabbassista un altro senatore come Enrico Rava al flicorno e a due solide realtà del jazz come Danilo Rea al pianoforte e Roberto Gatto alla batteria. Tommaso si è divertito a raccontare un po’ della sua vicenda artistica in mezzo ai brani proposti a pubblico. Tra questi Profumo di Donna di Trovajoli, Bolero di Fusco, Il postino di Bacalov, More di Ortolani (proposto come bis alle 2.30) tratti da pellicole del nostro grande cinema. Non sono mancati gli originali come Il sogno di Hitchcok di Rava e Cinema Moderno di Tommaso. Qualità di esecuzione indiscutibile per iniziare bene l’anno in musica.
Giovanni Tommaso, la festa per i 60 anni di carriera
Come è nata l’idea di questa ricorrenza proprio a Umbria Jazz Winter?
«Inizialmente pensavo di realizzarla per l’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove avevo già festeggiato il mezzo secolo di carriera. In quel caso era una maratona musicale che rievocava la mia vita musicale, dal Quintetto di Lucca ad Apogeo e Perigeo, il trio di Alfredo Tommasi. Così c’erano tanti colleghi e vari personaggi che introducevano ogni fase che veniva rievocata. In pratica, un “one shot” difficile da ripetere. L’amicizia con Carlo Pagnotta ha fatto in modo che dall’Auditorium (dove tra l’altro saranno festeggiati gli 80 anni di Enrico Rava) i 60 anni di musica si tenessero a UJ Winter con la ripresa di un progetto nato nel 2000».
E’ stato semplice coinvolgere musicisti importanti?
«La titolarità de La dolce vita era di Rava e Gatto con il quartetto completato da Stefano Bollani. Lui aveva altri impegni in questi giorni, quindi per me è stato naturale coinvolgere Danilo Rea che è un caro amico e che ho visto crescere musicalmente. A volte le reunion possono non funzionare, però questa volta (anche se non sta a me dirlo) devo dire che è andata molto bene, divertendoci anche a fare le nostre cose in modo più estemporaneo».
Lei ha vinto anche un David di Donatello per una colonna sonora. Qual è il suo rapporto con i film?
«Da ragazzo invece di studiare passavo i pomeriggi al cinema, quel Cinema Moderno di Lucca il cui gestore era il padre di un mio amico. Vedevo di tutto, ero appassionato di Tarzan e Stanlio e Ollio, ma soprattutto del musical che poi mi spinsero ad abbracciare il jazz. Inoltre ricordo bene i soldati americani a Lucca durante la guerra: uno di loro mi diede della cioccolata e sullo schermo vedevo l’America che anni dopo avrei visitato. E’ stato naturale, una volta diventato musicista, comporre per le immagini quando mi venivano affidate colonne sonore»
La sala era piena, nonostante l’orario…
Sono stati quattro concerti con il tutto esaurito. Inoltre ci è stato chiesto sempre uno o più fuori programma. Poi a fine esibizione c’erano tanti colleghi che venivano a salutarmi e a fare i complimenti. E’ stata una bella soddisfazione che fa parte del lato positivo di questa vita».
Michele Manzotti
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