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Continua il viaggio di Cristiano De André all’interno del “corpus“ delle canzoni del padre e questa volta a venire rappresentato è il concept album “Storia di un impiegato”. Utilizzare la parola concept in questo caso è quanto mai appropriato dato che Cristiano è riuscito a dare profondità e spessore grazie ad uno spettacolo multimediale quanto mai efficace denso di riferimenti visivi dell’epoca. Tutto gira sul ’68, anno in cui si fa riferimento sin dall’inizio dell’opera, e le immagini che scorrono sugli schermi fanno subito precipitare la platea in un epoca di sogni ma anche di incubi dove il protagonista della storia si muove in perfetta sincronia. Misteri del tempo: là dove Fabrizio De André aveva scritto insieme al giornalista Giuseppe Bentivoglio delle liriche assolutamente in controtendenza rispetto al credo politico dell’epoca, suscitando critiche da parte di quasi tutto l’apparato intellettuale della sinistra dei primi anni settanta (giornalisti, intellettuali, critici musicali ma anche movimenti studenteschi). Ricordiamo che il disco usci nel 1973 , anno di stasi e di ripensamenti ideali, l’onda spontaneista e positiva di fine anni sessanta lasciava il posto al terrorismo e a quindi alla fine dell’illusione, lo stesso impiegato tratteggiato da De André è il ritratto di uomo in piena crisi che allora non venne compreso fino in fondo, fece storcere il naso e credere ad un declino creativo dell’artista. Oggi, considerati ormai oltrepassati preconcetti di ogni sorta e le posizioni levantine della critica musicale evaporate, tutto ritrova un suo senso: E’ lo stesso Cristiano a dirlo tra un tempo e l’altro del concerto: “Mio padre ha scritto quest’inno alla libertà individuale che riprendeva tutti i desideri dell’epoca espressi dai vari movimenti d’espressione“. .Ed è proprio ciò che in tempi di assoluta fedeltà all’ideologia non poteva essere tollerato ora ci appare desiderio legittimo di espressione personale. Gli arrangiamenti più rock dati da Cristiano danno più corpo alle canzoni e quasi ci sembra svolazzare verso un rock progressivo non di maniera ma bensì attualizzato ed efficace. Dopo i 35 minuti dedicati a Storia di un impiegato Cristiano dedica il secondo tempo a canzoni più rodate tratte dagli spettacoli del lo scorso anno e del 2017. Il percorso questa volta parte dagli ultimi album di Fabrizio con un attenzione particolare a Le nuvole del quale vengono riproposte ‘ A Cimma, Don Raffaè, Megu Megun e La Domenica delle Palme , ma c’è spazio anche per Smisurata Preghiera e Creuza de Ma quasi a volere sottolineare un legame col padre attraverso quelle canzoni alle quali prese parte dal vivo, contribuendo in maniera fondamentale agli spettacoli dell’ultima parte della carriera di Fabrizio. Amore che vieni Amore che vai è uno dei pochi momenti concessi al De André dei primi anni della carriera, mentre Fiume Sand Creek raggiunge un acme emozionale grazie alle bellissime immagini di pellerossa riflesse dal Mega screen. poi si va verso un finale decisamente più virato verso quelle canzoni più spiccatamente popolari come Quello che non ho e Il Pescatore. Dopo 2 ore abbondanti di concerto un Cristiano De Andrè visibilmente emozionato regala un secondo bis con La canzone dell’amor perduto sempre coadiuvato da un ottima band ormai affiatata da anni.
Ugo Coccia
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