(Andromeda Relix AND 73)
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La decostruzione di un classico non è cosa semplice, tanto meno una semplice cover dell’originale. Innanzitutto è necessario rinunciare alla riproduzione di un significato univoco nella canzone che si ripropone. Che si tratti di un brano amato da pochi o di un successo universale, vanno cercate le infinite possibilità di senso, anche a costo di indagare a fondo sugli autori originali, sulle loro modalità compositive e perché no sulla loro vita di tutti i giorni. Pensate a quanto fatto da Glenn Gould sul repertorio di J.S. Bach: le note sono quelle e al loro posto, ma gli incastri di respiro, tempo, velocità possono essere davvero infiniti. E non è tutto. Serve anche il confronto con chi opera questa decostruzione, gli interpreti moderni e il loro interplay con tutte le sfaccettature dei rispettivi ascolti musicali. Un preambolo, questo, necessario per capire a fondo da dove parte il doppio album della band sannita degli Algebra guidata dal chitarrista e cantante Mario Giammetti. In apparenza Deconstructing Classics è una raccolta di cover già pubblicate (in buona parte dalla label Mellow Records) su vari tribute album nell’ultimo quarto di secolo alle quali si aggiungono (ma solo nel secondo CD) altri rifacimenti mai usciti su supporto fisico, tra release solo digitali e inediti assoluti, inclusi anche alcuni brani originali che risalgono agli esordi della formazione. Nell’ottica della decostruzione già sottolineata, dove ogni singolo brano viene personalizzato mettendo in luce sia i dettagli nascosti dell’originale che le scelte operate – spesso molteplici e non facili da elaborare in pochi minuti di materiale – sul significato profondo della composizione, le undici cover del primo CD sorprendono per le notevoli variazioni a livello di struttura e per le invenzioni timbriche degli arrangiamenti. La ciliegiona sulla torta la forniscono gli ospiti illustri del disco, presenti col botto subito nel primo brano ovvero “La Cura” di Franco Battiato, che è anche l’unico inciso appositamente per l’album. Nientemeno che Steve Hackett e Anthony Phillips insieme, in una sorta di sliding doors – o what if se preferite – genesisiano, il primo capace di lirismo elettrico intenso, il secondo intarsiatore unico di 12 corde e harpsichord. L’amicizia di lunga data tra Mario, Steve e Ant è la garanzia di un featuring veramente sentito, come traspare sia dal materiale registrato che dalle foto dei tre amici nel libretto interno. I Genesis sono ovviamente il flusso primario del fiume algebrico che scorre in questo disco e proprio la cover di “Dusk” (da Trespass) è qui a ricordarci che brillava nel primo tribute album in assoluto dedicato alla leggendaria band inglese, The River Of Constant Change, pubblicato nel lontano 1995. Le altre gemme del prog riviste con cura e fantasia dagli Algebra nel primo CD sono “Funny Ways” dei fratelli Shulman aka Gentle Giant, la perla di Greg Lake per gli ELP “Take A Pebble” e via di seguito con rivisitazioni nobili dei Camel, del Canterbury migliore (Robert Wyatt), dei giganti del prog italico (“Felona E Sorona”, Le Orme). Fin qui un catalogo di cover già consolidato nel passato discografico degli Algebra, a cui si aggiungono cose più recenti verso la fine della tracklist del primo CD: “Up To Me” dei Jethro Tull, la sorpresa di “Qué Hacer” di Luis Miguel subito dopo “Dear Diary” dei Moody Blues, i Marillion più recenti di “This Train Is My Life”. Chiude il primo CD un ritorno al mondo Genesis, con la cover di “Sleepers” di Steve Hackett, non antico anche questo e ricco di intarsi unici tra archi e fiati.
Nel secondo CD cala fisiologicamente soltanto l’aspettativa – non più da release “ufficiale” -ma continua a stupire l’inventiva di Giammetti e soci in fatto di scelta dei brani e soluzioni di arrangiamento. Quasi metà CD lievita da solo grazie all’impasto genesisiano: la malinconica “Goodby Baby Blue” di Ray Wilson – l’ultima voce solista in un album dei Genesis – precede e anticipa il mood pastorale di un vero classico di Anthony Phillips, “God If I Saw Her Now”. In origine un duetto vocale tra Phil Collins e Vivienne McAuliffe nel primo album di Phillips The Geese & The Ghost – uno dei 10 dischi in assoluto più importanti del progressive rock di tuti i tempi -, in questa versione è cantato dai fratelli Mario e Maria Giammetti, quest’ultima artista fondamentale anche al sax nel sound degli Algebra. Genesis presenti anche nel trittico “live” del secondo CD con le cover dal vivo di “Dusk” , “Open Door” (b-side lasciata fuori da Duke) e “Ripples” (con fisarmonica e sax). A proposito di “Dusk”, questa versione dal vivo degli Algebra è preceduta – a mo’ di introduzione – da una chicca assoluta, almeno per ogni fan dei Genesis. Il breve brano “Il Crepuscolo” – traduzione italiana proprio di “Dusk” – è infatti una variazione dell’originale tratto da Trespass suonata alla 12 corde dallo stesso Anthony Phillips, che tre anni orsono omaggiava così la rivista di Mario Giammetti dedicata ai Genesis, chiamata anch’essa “Dusk”. Più decostruzione di così non può esserci, visto che anche uno degli autori originali si presta al gioco magico della reinvenzione. Senza dubbio quello degli Algebra non è soltanto lo spirito giusto per affrontare venti e più tracce da rivisitare. E’ anche un monito alle cover band che vivono di sola filologia e dimenticano che il brivido e la magia dell’originale possono provenire anche da fattori extra musicali. Ecco allora il senso della decostruzione di un classico, molto di più delle sole note al posto e al momento giusto.
Francesco Gazzara
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