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La prova era stata fatta nel pomeriggio del 21 luglio in un albergo. Una chitarra, quella di Anthony Paule, e due voci, Wee Willie Walker e Curtis Salgado. Il brano era un classico del Soul, Soothe Me di Sam and Dave. La sera sul palco del Rufus Thomas Park quelle note hanno conquistato il pubblico del Porretta Soul Festival. Oltre a caratterizzare il repertorio di Sam and Dave, Soothe Me è un brano che si ascolta in parte anche nel film Blues Brothers di John Landis, quando Jake ed Elwood mettono in auto la cassetta del best del duo pubblicata dalla Atlantic. Già, i Blues Brothers. Le cronache raccontano che Salgado ha ispirato quei personaggi tra realtà e fantasia. Così a fine esibizione chiediamo a Salgado di spiegarci come è nata questa storia parlando anche della sua presenza italiana.
E’ la prima volta per lei a Porretta?
“Sì, ero stato in Italia una volta sola nel 1995. C’era una buona occasione per un biglietto andata e ritorno dagli Stati Uniti a Roma. Così sono venuto con la mia compagna per godere della vostra grande storia, dalla quale sono molto affascinato. Ero in un hotel vicino al Colosseo e ho visitato tutto ciò che era possibile in cinque giorni. Io amo l’Italia e apprezzo tanto che gli italiani mantengano ancora la loro identità, tra cui quella del cibo. Siete appassionati di musica e di arte, che è stata inventata qui. Il Rinascimento è nato in Italia. E ora sono qui in questo festival”.
L’atmosfera è molto particolare…
“Posso dire una cosa? Sono nei miei Sessanta e negli Stati Uniti quando suono davanti a un pubblico, la gran parte di esso è mia coetanea. Guardi invece questa folla: ci sono persone di tutte le età. Dai teenager ai venti e qualcosa, trenta e qualcosa, quaranta, cinquanta, sessanta e settanta. E la cosa funziona. Ci sono tutte le età e questo ha senso. Questo non succede nel mio paese per il blues e il rhythm’n'blues. Si va dai quaranta ai sessanta, non vedo millennials o giovani. Quale altro posto come Porretta celebra così la musica Soul?”
Sa che è chiamata Soulsville Europe?
“Innanzitutto non esiste una situazione del genere negli Stati Uniti. In secondo luogo per me è il suono con cui sono cresciuto e che ho ascoltato fin da quando ero ragazzo: ti fa muovere e commuovere ed è questa è la cosa più bella. Io volevo fare questa musica e cantare i miei idoli. Con i miei familiari e amici ascoltavamo Count Basie, Dinah Washington, Ella Fitzgerald e tanti altri”.
Salgado e Belushi (dal sito www.curtissalgado.com)
La mia curiosità riguarda la dedica che i Blues Brothers le fecero in Briefcase Full of Blues. Come è nata questa storia?
“E’ capitato per una serie di circostanze, ed è una storia molto lunga. Io sono di Eugene, Oregon, una città universitaria ma anche legata al legname. L’industria del legname infatti caratterizza l’Oregon nel nord ovest degli Stati Uniti, un territorio con montagne e tanti alberi. Stavano girando un film a Eugene e l’unico posto negli Stati Uniti dove potevano farlo era proprio lì. Il regista era John Landis e il film Animal House, ma questo l’ho saputo più tardi. Il luogo era stato scelto perché c’era un edificio nel campus universitario che poteva essere distrutto: penso che in precedenza abbiano chiesto a tutte le università degli Stati Uniti se avevano questa caratteristica. In Oregon lo potevi fare”
Lavorava già come musicista?
“Si perché in quel periodo suonavo con Richard Cousins, bassista per Robert Cray che viveva a Eugene. E ho saputo che giravano il film perché Richard mi disse: ‘Robert ha avuto una parte’. La trovavo una cosa pazzesca. Due settimane dopo facevamo un concerto: Robert aveva una sua formazione mentre io cantavo con i Nighthawks. Ci esibivamo in un hotel e mi ero totalmente dimenticato delle riprese del film e non sapevo assolutamente chi fossero gli attori dato che non avevo mai visto il Saturday Night Live. Successe una cosa singolare: una persona venne a tirarmi i pantaloni mentre cantavo una canzone”.
E cosa successe?
“Mi diceva: ‘Ehi, John Belushi vuole incontarti’. Lontano dal microfono gli dissi di andarsene in malo modo, ma lui insisteva. Poi il set finì e scesi dal palco e la stessa persona mi ripeté che Belushi voleva incontrarmi. Mi porta da lui, un ragazzo ingessato, che mi dice: ‘Ehi, mi piace la tua musica, ho un amico che si chiama Dan Aykroyd con cui ho un progetto”. Mi ha raccontato che aveva conosciuto Robert Cray nel film che stava girando, il quale gli aveva insegnato a ballare sul palco. La conversazione è andata avanti e così ho saputo che doveva fare avanti e indietro tra l’Oregon e New York. ‘Sai, dobbiamo esibirci con Ray Charles’ ‘Cosa? Ray Charles? Mi stai predendo in giro?’ Da quel momento ho iniziato a capire tutto”.
Cosa vi siete raccontati?
“Dopo il primo momento di imbarazzo gli parlai della mia grande passione per Ray Charles. Gli dissi di Guitar Slim e della sua canzone “The Things That I Used to do” che Ray Charles produsse arrangiando i fiati e suonando il pianoforte. Non sapeva inoltre che Ray Charles suonava il sax contralto e lo faceva molto bene: lo si può ascoltare in un’incisione dal vivo al Newport Jazz Festival pubblicata dalla Atlantic. Poi ci salutammo a fine serata. Dopo cinque giorni mi chiamò dicendo di portare i miei dischi di cui avevamo parlato quando ci saremmo incontrati”.
Non c’erano ancora i Blues Brothers…
“Seppi dopo che il progetto di Aykroyd era quello di coinvolgerlo nel repertorio blues. Quando mi vide scoprii che come attore aveva bisogno di un modello a cui ispirarsi. Ripeto: precedentemente non avevo la minima idea di chi fossero e cosa facessero. Con Belushi diventammo amici: mi invitò a Hollywood alla prima del film 1941. Poi mise insieme i Blues Brothers e come ho detto prima è stata una lunga storia”.
Come è finita con Briefcase Full of Blues?
“Belushi mi disse: ‘Citeremo il tuo nome al Saturday Night Live’ e in quell’occasione fu la prima volta che vidi la trasmissione in tv. E alla fine mi dedicarono il disco: ci sono almeno cinque canzoni in quell’album che facevano parte del mio repertorio. A partire da Hey Bartender di Floyd Dixon, brano che ho interpretato con lo stesso autore”.
Michele Manzotti
Curtis Salgado a Porretta Soul 2019 (foto Fiorenzo Giovannelli)
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