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Recensioni

Keith Jarrett – La Fenice

22 settembre 2019 by Michele Manzotti in Dischi, Recensioni

(Ecm / Ducale)
www.keithjarrett.org

L’approccio a un nuovo album di Keith Jarrett non è mai un fatto banale. Ci riferiamo più esattamente a quelli per pianoforte solo, perché un ascolto (anche inconsciamente) non riesce mai a prescindere totalmente dal Köln Concert. Circostanza ancora più evidente dato che Jarrett continua a incidere da allora per la stessa etichetta, la Ecm di Manfred Eicher. Dato però che parliamo di uno dei musicisti internazionali ai massimi livelli (simpatie o meno dovute al suo carattere, ma questo è un altro discorso), quando il Cd viene inserito nel lettore va tenuto conto che bisogna seguire un percorso che appartiene ai grandi. Inoltre, dato che l’album è stato registrato in uno dei templi del teatro italiano a Venezia, è curioso verificare quanti elementi classici entrano in un linguaggio jazzistico sapendo che Jarrett spesso e volentieri è tornato al panorama colto. Nel primo dei due Cd l’inizio è molto legato alle sonorità classiche novecentesche, dal ritmo ispirato da Stravinskij e da momenti debussiani, in un gioco di improvvisazioni tra varie cellule melodiche. Le tre parti che completano il disco invece colgono Jarrett come rielaboratore superlativo di stilemi della black music e di quella popolare, specialmente nel trattamento della melodia. Basti evidenziare a questo proposito l’affascinante quarta traccia (Part IV) mentre la terza e la quinta lasciano senza fiato per la predisposizione al ritmo e alle armonie jazz.  Il secondo Cd perde quasi completamente le atmosfere classiche, rintracciabili solo nella Part VI basata principalmente su una successione di accordi. Delle sette tracce, quattro sono originali tra cui la Part VIII basata su un blues dall’andamento regolare e di livello immenso. Le riproposte vengono dalla light opera (The Sun Whose Rays da Mikado di Gilbert & Sullivan), dal folk (My Wild Irish Rose) e da uno standard del 1947 come Stella By Starlight che ha segnato anche la discografia di Miles Davis. Sulla grandezza dell’esecuzione, sottolineata dall’entusiasmo del pubblico, niente da dire. E’ un Jarrett che poco a poco si apre a una grande solarità, arrivando alle battute finali suscitando sorprese a ogni passaggio musicale. Il complesso del Köln Concert, se ancora c’era, è abbondantemente superato.

Michele Manzotti

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