(Calabriasona)
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Si può parlare oggi di emigrazioni, lotte operaie, schiene spezzate dal lavoro, malavita? Paolo Sofia è qui a ricordarcelo, con un lavoro veramente singolare, dal titolo “ L’albero di more”, ispirato al romanzo “La Maligredi” di Gioacchino Ciriaco, pubblicato da Feltrinelli nel 2018. La maligredi in Aspromonte è un modo per intendere la brama del lupo, che quando entra nel recinto, invece di scegliere la pecora per sfamarsi, decide di scannarle tutte. Paolo Sofia ci racconta una Calabria, quella della seconda metà del secolo scorso, con un disco crudo, nostalgico, malinconico, però anche ricco di quella forza esplosiva, di quell’energia contagiosa del Sud. E lo fa attraverso un disco tipicamente popolare, a cominciare dall’uso stretto del dialetto (usando però anche l’italiano), all’intreccio delle voci, alle tematiche trattate e al numero sterminato di strumenti che vengono suonati in questo disco. Leggendo i nomi sembra di trovarsi di fronte ad un libro di organologia o di etnomusicologia: chitarre battenti, mandola, lira calabrese, marranzano, bouzuoki, launeddas, duduk, bansuri, flauti doppi, pipita, riqq , darabuka, quavaquino, zampogna, flauti a paru, oltre a quelli più classici. Una grande contaminazione sonora tra l’italia e il mondo, che rende questo disco più vero e sofferto. In mezzo troviamo la storia di Nicolino e dei suoi compagni, che ricordano i “ ragazzi di vita” di pasoliniana memoria, intenti a marinare la scuola e ad avvicinarsi alla piccola criminalità. Sarà il ritorno di Papula, emigrato in Germania per lavoro, ad accendere un vento nuovo ed una voglia di rivoluzione nel paese di San Luca. La grande capacità narrativa di Paolo Sofia è proprio quella di raccontare tutto questo, solamente con otto canzoni (più una ghost track recitata), lasciando l’ascoltatore affascinato per tutto il tempo. Segnaliamo la trascinante “ A lupa”, “L’albero di more” (“Se la rivoluzione è un albero di more, le nostre labbra avranno un nuovo colore”), “Nicolino” (“Col tempo scriverai la nostra storia, di quando ad uno ad uno dentro il sacco, raccoglievamo le menzogne di chi ci comandava e allora fu rivolta”), la dolce “ Com’è bella la luna” e la poetica dichiarazione d’amore per questa terra con “ L’Aspromonte” ( “ se le altre stelle avessero un cuore, toglierebbero la voce al sole, che imperterrito illumina il vuoto, un inutile spazio abissale, a riempirlo di lacrime amare, basta solo il rumore del mare”). I testi e le musiche sono di Paolo Sofia, tranne “Basami” con il testo di Giovanni Ruffo, “Animi niri” e “Aspromonte” con i testi scritti insieme a Gioacchino Ciriaco. Parecchi gli ospiti speciali come l’attore Fabrizio Ferracane, Francesco Loccisano (virtuoso della chitarra battente), Mimmo Cavallaro (rappresentante internazionale della musica etnica calabrese) e la voce femminile di Valentina Balestrieri (intensa interprete del folk siciliano). La direzione artistica è di Mujura, il produttore esecutivo è Giuseppe Marasco, gli arrangiamenti di Mujura e Paolo Sofia, l’opera di copertina è di Monica Ruffolo. Il cantautore calabrese Paolo Sofia, già frontman dei Quart’aumentata, dimostra coraggio nel presentare un lavoro raffinato e al tempo stesso fuori dalle logiche del mercato, che ci porta a riflettere e a riscoprire un sud dimenticato, non ci sembra poco per questi tempi.
Marco Sonaglia
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