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Mary Quant, Victoria and Albert Museum, Londra

23 novembre 2019 by Michele Manzotti in Libri, Mostre, Recensioni

www.vam.co.uk

foto (c) Victoria and Albert Museum

Mary Quant non vuol dire solo minigonna. L’invenzione del 1966 che rivoluzionò la moda femminile era stata preparata da tempo. La giovane stilista che aveva lavorato in altre ditte prima di lanciarsi nel lavoro a un suo proprio marchio voleva che la moda non fosse solo un privilegio delle élite, ma di un pubblico più vasto di consumatori. La mostra a lei dedicata spiega tutto questo e fa comprendere come Mary Quant sia una parte importante della cultura (o volendo controcultura) inglese dai Sessanta in poi.

Forse anche il marito, il trombettista bohèmien Alexander Plunket Greene, contribuì a tutto questo. Fatto sta che la accompagnò nelle parti salienti della sua attività. a partire dal Ginger Group, una sorta di revue con modelle che presentavano le prime creazioni di pret a porter all’interno di veri e propri spettacoli. Quant amava le linee essenziali, con righe diritte, senza troppi bottoni ma con zip poste in punti diversi dal solito come sopra e sotto l’ombelico.

La minigonna arriva dopo una serie di altri modelli che Quant sperimenta dal 1962. Poi dopo il boom arrivano anche gli accessori a testimoniare la bontà del marchio. Dalle scarpe agli occhiali, dalla lingerie alle calze tutte caratterizzate dal fiore a cinque petali, logo della Quant. E poi Daisy la bambola concorrente della Barbie, vestita dalla stilista. I Settanta vedono anche il ritorno alle fantasie, ma sempre con uno stile riconoscibile. Ma ciò che colpisce è che la storia di Quant e del suo marchio parte da King’s Road e da Chelsea, zona di cui la Quant capì subito le potenzialità per poi conquistare il centro di Londra. Vent’anni prima di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren. L’estetica punk e lo spirito di ribellione non sono nati dal niente.

Fino al 16 febbraio 2020

Michele Manzotti

(c) riproduzione riservata

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