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La serata ha mostrato il consueto livello di eccellenza di una band nella festa che ogni anno organizza su un palco della sua città. Ma prima entrare nei dettagli del Bluegrass Party numero 11, tentiamo di spiegare come mai la proposta musicale di una formazione come i Red Wine sia arrivata al 41° anno. E come ogni volta riesca a riempire un teatro di Genova per salutare a suo modo un pubblico sempre affezionato. Innanzitutto per il genere che i Red Wine hanno scelto: il bluegrass non è particolarmente popolare in Italia ma nelle mani del quartetto riesce a catturare anche ascoltatori lontani da quel mondo, Ma soprattutto un classico affidato ai Red Wine, diventa “dei” Red Wine e non solo una versione bluegrass dello stesso classico, o se vogliamo una semplice cover. La ricetta è quella di una straordinaria preparazione strumentale, di un’immersione nel genere con tante esperienze all’estero e un gusto tutto italiano nel trattamento della melodia. A questo si aggiungono, per quanto riguarda il successo del Bluegrass Party, proposte tematiche azzeccate con ospiti di richiamo.
Così Silvio Ferretti (banjo), Martino Coppo (mandolino), Lucas Bellotti (basso) e Marco Ferretti (chitarra), con il quinto componente aggiunto Davide “Zazza” Zalaffi alla batteria, hanno scelto il 50° di Woodstock visto da un’altra angolazione. Ovvero il festival che poteva essere se alcuni gruppi avessero accettato l’invito. Oppure il film o il disco che sarebbero potuti essere se fosse stato incluso ulteriore materiale a quello che conosciamo. Come simbolo de L’altra Woodstock è stato chiamato Lowell “Granpa Banana” Levinger, attuale tastierista dei Disciples of Soul di Little Steven, ma soprattutto componente degli Youngbloods. Il manager della formazione disse no a Woodstock perché riteneva il cachet inadeguato, spedendola in un bar di Baltimora. Così il gruppo non entrò nell’alone leggendario del festival. Così come Joni Mitchell e i Flying Burrito Brothers di Gram Parsons. Mentre di altri come Grateful Dead, Creedence Clearwater Revival, The Band mancano le immagini.
Il repertorio della serata era pieno di brani che fanno parte del passato di tanti: per quanto riguarda il film e il disco Going Up The Country dei Canned Heat, I-feel-like-I’m-fixin’-to-die rag di Country Joe McDonald, With a Little Help From My Frieds dei Beatles che Joe Cocker trasformò sul palco. Per canzoni e gruppi presenti ma non inclusi in film e disco, Find The Coast of Freedom di CSN&Y, We Shall Overcome di Joan Baez, I Shall Be Released di The Band. Infine come simbolo dei gruppi assenti ricordiamo Get Together degli Youngbloods. I Red Wine hanno anche proposto un medley con tre brani italiani di quell’epoca Dio è morto/E la pioggia che va/C’era un ragazzo e un pezzo come Evergreen dal loro ultimo album Carolina Red. Sul palco è salito anche il clarinettista e contraltista Francesco Bencini e il bluesman Paolo Bonfanti nel finale.
Due ore e un quarto di musica passate in un attimo dove il piacere si è unito alla sostanza per sottolineare, come per tradizione, l’atmosfera di festa. Un party organizzato come si deve, con la voglia di tornare.
Michele Manzotti
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