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foto © Simon Annand
Tre personaggi in cerca di qualcosa. Autore? Forse, ma non di uno solo. Di loro stessi? Questo è già un passo avanti, ma non è la mèta. Di un regista? Di uno scenografo? Anche di loro, certo. Più precisamente sono in cerca del teatro, del suo senso, di tutto ciò che si muove attorno e dentro il palcoscenico. E di trovarne le motivazioni. Il perché. «Why?», perché?, è il titolo dello spettacolo andato in scena al Teatro Cucinelli a Solomeo (Perugia) in prima nazionale. Un lavoro firmato da Peter Brook e Marie-Hélène Estienne che ne hanno curato anche la regia. E’ proprio la figura di Brook, uno dei personaggi simbolo del teatro contemporaneo a prevedere uno spettacolo-non spettacolo, in cui attori e spettatori si interrogano su ciò che rappresentano e a cui assistono. Ma è il palco che indubbiamente conduce le danze con apparente semplicità all’inizio, giocando sull’ironia. Scavando poi sempre più a fondo negli aspetti drammatici, non solo riferiti alla scena. La vita entra prepotentemente nel testo di Brook-Estienne e lo fa attraverso uno dei padri del teatro novecentesco. Si tratta di Vsevold Mejerchol’d, vittima di Stalin nel 1940 dopo essere stato autore rispettato dallo stesso leader sovietico. Attraverso di lui compare anche il suo maestro Konstantin Stanislavskij, ma in particolar modo la moglie Zinaida Reich, anch’essa uccisa dalla repressione stalinista. Il teatro è portatore di più verità: la nostra, quella degli altri, e la verità in se stessa. Che forse nel caso di Mejerchol’d è l’arma a doppio taglio: rende magico il teatro, ma può ucciderne il suo autore. I tre protagonisti, Hayley Carmichael, Kathryn Hunter e Marcello Magni si muovono con grande scioltezza attraverso una narrazione non tradizionale, ovvero le idee sul teatro degli autori e di Brook in particolare. Con le musiche in sottofondo del pianista Laurie Blundell, gli attori fanno (bene) il loro mestiere soprattutto nelle lettere tragiche di Mejerchol’d e della moglie. Un successo annunciato per un teatro che mette in discussione se stesso.
Michele Manzotti
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