foto (c) Carole Bellaiche
La trasposizione su palco di un film importante non è mai semplice. Soprattutto se si tratta di pellicole che hanno fatto la storia del cinema, come Hiroshima mon amour di Alain Resnais del 1959, con soggetto e sceneggiatura della scrittrice Marguerite Duras. Eppure se ne può cogliere l’essenza, il significato, per riproporne l’atmosfera. Senza scenografie, se non la presenza di una poltrona, o costumi. A potersi permettere di condurre a termine un’operazione del genere non può essere che una protagonista dell’azione scenica che tra l’altro è assolutamente padrona della recitazione su grande schermo. E’ Fanny Ardant, attrice francese fra le più note e talentuose, che ha portato in esclusiva italiana al teatro Cucinelli di Solomeo (Perugia) l’adattamento di Hiroshima mon amour di Betrand Marcos che ne è anche il regista. Un lavoro pensato proprio per Fanny Ardant perché potesse, con il solo mezzo della voce, portare il pubblico a immaginare i contorni e i colori della storia. Un lavoro che ha condensato i tratti principali della vicenda raccontata nella pellicola. Un architetto giapponese e un’attrice francese trascorrono assieme un’intensa notte di passione. Da quel rapporto prende il via quella che sembra destinata ad essere una storia d’amore a lieto fine. Improvvisamente, quanto inevitabilmente, iniziano ad affacciarsi gli spettri del recente passato. Spettri che investono soprattutto la fragile ragazza parigina. La distruzione della città di Hiroshima nel primo bombardamento nucleare, la giovinezza di lei in una città francese di provincia, il primo amore proveniente da un paese (la Germania) in perenne conflitto con la Francia fino alla seconda guerra mondiale. Fanny Ardant, affiancata solo da una voce maschile fuori campo, riesce a tirare fuori tutte le sfumature della realtà confusa con l’immaginazione, della femminilità che non vuole essere annullata dalla presenza maschile, dell’eterno conflitto tra amore e morte. Nessun costume di scena, solo un abito nero per occultare i colori dell’anima. Che escono dalla voce, in una sintesi tra professionalità, esperienza e fascino difficilmente ripetibile. Chi ha potuto ascoltarla a Solomeo può ritenersi fortunato.
Michele Manzotti
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