L’occasione per parlare con Gegè Telesforo è la recente uscita del nuovo album che si chiama “Il mondo in testa” (co-produzione Jando Music – Groovemaster Edition – Via Veneto Jazz / distribuzione Goodfellas)
E’ un progetto un po’ diverso da quelli a cui ci avevi abituato fino ad ora con le tue produzioni artistiche. Come nasce?
Per tanti anni sono stato un artista della Go Jazz di Ben Sidran, poi sono passato alla Columbia Records poi alla Rope A Dope di New York che ha prodotto album per Snarky Puppy e ha un roster di artisti incredibili. Rivolgendomi a un pubblico internazionale e avendo un background jazz e quindi la passione per il funk e la musica nera, r’n'b e via dicendo, la mia musica si è sempre allineata alla tipologia di produzione delle varie etichette. Stavolta l’album, assolutamente indipendente, aveva un altro obiettivo: raccontare la mia storia. Quella di un musicista, di un viaggiatore onnivoro musicalmente, ma anche di esperienze. E quindi volevo narrare, nell’arco di tutta una produzione, incontri che fossero anche con ritmi, suoni, strumenti, raccontando in musica immagini a me molto chiare e quindi lasciarmi andare, senza rifarmi a fasi ritmiche stereotipate e a prototipi metabolizzati. Ho messo tutto insieme, tutto quello che ho ascoltato per creare un album che fosse ritmicamente dalla natura etnica. Per questo alla fine ho utilizzato l’italiano, pur avendo scritto i testi in inglese quando poi sono andato a realizzate i provini nella fase di arrangiamento non mi convinceva come lingua, con la sua metrica e la sua prosodia. E alla fine l’italiano è stata una piacevole riscoperta per me perché sono tornato a scrivere e a cantare nella nostra lingua dopo tanti anni. Rimanendo salda la mia natura di musicista versatile di jazz, con tutte le sfumature ritmiche e armoniche che mi porto dietro da sempre.
Ascoltando le produzioni precedenti eravamo sempre abituati ad avere la tua voce come punto di riferimento. Stavolta hai invece molti ospiti che usano la voce, sia accompagnando la tua, sia in maggiore evidenza. Come ti sei mosso da questo punto di vista sonoro?
Ornai è un po’ di tempo che realizzo gli album da compositore e producer più che da artista, così come era successo per un disco internazionale chiamato Fun Slow Ride per il quale ho scritto e arrangiato e prodotto tutti i brani però poi alcune composizioni le ho fatte interpretare da quelli che considero tra i migliori vocalist della nuova generazione. Sono stato a New York per un lungo periodo a far cantare questi brani a talenti come Alan Hampton, Sachal Vasantani, Joanna Teters e così via. Per questo album ho fatto la stessa cosa, ho scritto della musica non pensando di doverla interpretare personalmente in tutte le composizioni, Poi per alcuni brani ho chiamato artisti italiani a me cari che infatti hanno dato il loro piacevole e fortunato contributo alla produzione. Alla fine quando calco il palcoscenico certamente mi porto dietro degli ottimi musicisti ai quali però do sempre tanto spazio perché continuo a considerare la musica un momento importante di condivisione che poi le canzoni le canti io personalmente o altri non fa molta differenza, Ci sono cantanti più bravi di me a interpretare certe canzoni.Quando scrivo mi sento libero di creare e da producer faccio fare all’artista un passo indietro perché credo che l’obiettivo sia quello di creare un bel progetto, a prescindere da chi lo canti.
C’è una parte strumentale altrettanto importante con musicisti che conosci da tempo, grandi professionisti della scena jazz. Da questo punto di vista il suono è abbastanza equilibrato
Anche se è stato inserito in un catalogo jazz perché una scelta la dovevamo fare, sinceramente è un album molto aperto come mentalità. CI sono vere e proprie canzoni realizzate su un impianto ritmico complesso con progressioni armoniche interessanti, quindi canzoni in cui comunque c’è tutto il mio background di musica che ho ascoltato e che in cui continuo a rispecchiarmi, Mi sono rivolto a colleghi illustri che suonano con me da tempo e che sono una certezza come Dario Deidda al basso, suo fratello Alfonso al sax, che ha suonato strumenti in tutte le mie produzioni. Max Ionata strumentista di fama mondiale che lavora con me da tanti anni, il pianista Seby Burgio, e poi giovani talenti che seguo e che meritano attenzione tanto che nel prossimo futuro dimostreranno il loro valore. Poi ci sono le voci bellissime di cui parlavamo prima come Daniela Spalletta, Simona Severini, Ainé e il songwriter siciliano che ho scelto per la title track ragamuffin, Lello Analfino leader dei Tinturia. Insieme abbiamo vissuto grandi momenti di musica.
Una domanda extra disco che riguarda la tua avventura televisiva su Rai5 in cui tratti la musica italiana senza confini, più che indipendente. Sarà ancora trasmessa?
In tre stagioni di Variazioni sul tema, abbiamo realizzato 65 puntate da 10 minuti e tre speciali. Dovevamo incontrarci con Pietro Corsini direttore di Rai 5 e mi auguro che potremo farlo al più presto perché ci possa essere un’altra stagione. Ormai abbiamo rodato la macchina: 10 minuti ci bastano per poter raccontare una storia, e le 65 puntate hanno dimostrato che non si tratta di un programma di musica, ma sulla musica e sulla vita dei musicisti. Abbiamo raccontato l’attività degli stessi musicisti con le loro avventure e anche i loro dubbi e le loro preoccupazioni, sempre però con una chiave ironica, ma con la serietà che ci contraddistingue quando si parla dell’argomento.
Michele Manzotti
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