www.roccorosignoli.com
Covid19 Suite – Sophionki Records
I giorni che stiamo vivendo non sono facili e la situazione in cui ci troviamo ci sembra surreale e assurda, però la musica, come succede spesso, ci salva da questi periodi. Rocco Rosignoli ha colto la sua ispirazione in questo momento,registrando in solitaria un ep dal titolo emblematico: Covid19 suite. Cinque tracce per raccontare questo caos, cinque tracce apparentemente diverse tra loro, ma unite da un elemento comune: il senso di smarrimento. L’Ep comincia subito in maniera forte con “Everest”, un tappeto quasi orientale dove il bouzouki si incrocia col violino e la voce, che piano piano si moltiplica, declamando le sue parole crude (“Oggi l’Everest ci rende suoi cadaveri che dentro al ghiaccio erano stretti ormai da secoli, per un’istante sembreranno uomini liberi, prima che tornino alla cenere e alla polvere”). Si cambia subito atmosfera con “Coda di serpente”, una ballata antica, quasi in odor di valzer, sostenuta dalla chitarra classica, dal mandolino e dal bouzouki e con alcuni spunti interessanti nel testo (“ E con la polvere da sparo giù in cantina, giocheranno sulle vecchie barricate, a chi sopporta il meglio che sprovina e soffia neve sulla faccia in piena estate”). “Zona rossa” ci riporta al dramma con un’atmosfera claustrofobica, dettata anche da un uso dell’elettronica e da un testo ossessivo che sembra una macabra cantilena ( “Zona rossa ripercossa, ripercossa dalla peste che l’affossa, zona rossa che s’ingrossa, ogni giorno è un altro chiodo nella cassa”). Con la “Ninna nanna dei fattoni” torniamo ad una classica canzone d’autore con chitarra acustica e armonica in primo piano, anche qui le parole sono (“Adesso che nessuna strada racconta più storie, le loro memorie brasate, si sbattono agli angoli d’ombra dove si pisciava e gli sbronzi sboccavano sangue per strada”). L’Ep si chiude con “ Prospettiva zero”, con un’atmosfera sospesa, a tratti sognante, sostenuta dall’armonium e dalla chitarra classica e un finale parecchio amaro (“ Passeggeranno quelle rive e nuove coste, vedranno spiagge rosse e navi scheletrite, e poi scrutando quei fondali, nelle soste, vedranno tracce delle loro vecchie vite”). Un lavoro consigliato, dove Rosignoli arrangia con sicurezza i suoi brani, si cimenta con vari strumenti come le chitarre, il violino, il basso, il bouzouki, il mandolino, l’armonica a bocca, la fisarmonica, l’armonium indiano, ma soprattutto canta la realtà in maniera forte e diretta, con una buona scrittura e una voce calda e profonda, confermandosi un degno erede di certi cantori popolari intrisi di passione civile.
Questi tempi di quarantena non hanno spento la tua vena creativa, ci racconti come è nato Covid 19 suite?
Questa piccola suite, un EP di 5 canzoni, è nato in parte prima del lockdown, e in parte durante la quarantena. Quelli che ora sono il primo e l’ultimo brano dell’album nacquero prima degli altri. Sono canzoni che cercavano un mio modo di raccontare il disastro ambientale. Ora è passato in secondo piano nel discorso mediatico: passata l’ondata di Greta Thunberg è arrivata la novità del coronavirus, e si è mangiata tutto il panorama dell’informazione. Ma in realtà, da quel che ho letto, i due discorsi sono profondamente legati: il famoso “salto di specie” operato da questo minuscolo nemico è avvenuto a causa della progressiva erosione di spazio operata dall’uomo ai danni delle zone selvagge. Questo ha portato specie domestiche ad essere allevate accanto a specie selvatiche, portatrici del virus. Lì è avvenuto il salto alle specie domestiche, e da loro all’uomo. Ho anche letto un’ipotesi tremenda, non so quanto possibile: lo scioglimento dei ghiacci eterni potrebbe portare alla ricomparsa di virus intrappolati in essi da millenni, per i quali nessuno possiede gli anticorpi. Per puro caso, una di quelle prime canzoni sul disastro ambientale parlava proprio dello scioglimento dell’Everest. Mesi fa avevo appreso che sulla sommità dell’Everest ci sono decine di corpi di persone che han perso la vita nella scalata. Non possono essere recuperati, perché è troppo pericoloso. La canzone fa una macabra constatazione: che oggi, poco a poco, l’Everest ce li sta restituendo, sciogliendosi. Invece “Zona Rossa”, il primo singolo che è uscito, è nata proprio durante la quarantena, nel momento del primo lockdown, e parla della situazione angosciosa che qui a Parma, in piena zona rossa, stiamo vivendo, tra il continuo viavai di sirene ed elicotteri, tra i tanti volti amici che appaiono ogni giorno nei necrologi. In una città piccola come Parma ci si conosce tutti. “Covid-19 Suite” non è che un piccolo EP, credo di averlo composto per un’esigenza interiore. Ho molto bisogno di sentirmi attaccato al mio posto nel mondo, che è quello di musicista, di cantautore, di cantastorie. Nel mondo di domani, voglio che questo mio mestiere continui a essere la mia vita. L’EP esce il 27 aprile, sarà in free download, completamente gratis per tutti quelli che lo vorranno ascoltare. È un mio bisogno.
Nel frattempo esce contemporaneamente un album chiamato “Canti rossi”, Come nasce l’idea di pubblicarlo?
Come sai, negli anni ho frequentato molti palchi portando, accanto alle mie canzoni, un repertorio di canti sociali, politici, di lotta e di lavoro. Ho una profonda passione per la canzone popolare in generale, e per la sua dimensione politica. Nonostante da dieci anni io porti queste canzoni un po’ dappertutto, non le avevo mai fissate su un disco; ho pensato che fosse giunta l’ora, perché mano a mano che il mio percorso si è fatto più chiaro, hanno rivestito un ruolo sempre più importante nella mia vita di artista e di militante.
Con quale criterio hai scelto i brani e a quali sei più legato?
La risposta, ahimè, si morde la coda: il solo criterio, in realtà, è stato proprio scegliere quelli a cui ero più legato! Il canzoniere che in qualche modo si lega al discorso politico è sconfinato, e, nel suo orizzonte, ogni scelta che puoi compiere sacrifica inevitabilmente qualcosa di importante. Non potevo fare altro che scegliere le canzoni che mi emozionano di più – e a qualcuna mi è pure toccato rinunciare. Ma ci ho messo di tutto: da Pietro Gori a Bertolt Brecht, dagli anonimi della Guerra di Spagna a Felice Cascione, per arrivare al grandissimo Fausto Amodei. Non saprei davvero dirti quali siano i brani a cui sono più legato, ognuna di queste canzoni mi emoziona enormemente ancora oggi, ogni volta che la canto. Mi raccontano una storia che arriva fino a noi; mi raccontano di generazioni che hanno lottato, che si sono spese per un mondo più giusto e più bello. A volte sono state sconfitte, a volte hanno vinto la battaglia, ma solo per scoprire che chi guidava la loro lotta non aveva i loro stessi interessi. Rivoluzioni mutilate, tradite, sequestrate. E noi, qui a raccoglierne l’eredità, sperando che un giorno possa esserci la prossima. Certamente, però, una canzone che ho incluso nel cd con grande soddisfazione è “Per i morti di Reggio Emilia”, di Fausto Amodei, che reputo uno dei più grandi scrittori di canzoni del nostro paese. La soddisfazione è enfatizzata dal fatto che nel disco l’ha cantata OltreCoro, il coro che dirigo qui a Parma, nel quartiere dell’Oltretorrente. Un coro nato da due anni, specializzato in questo repertorio, di cui curo la preparazione e anche gli arrangiamenti. Avere questi compagni nel mio disco più rosso è una grande soddisfazione.
Sei un valido ed eclettico polistrumentista, quanto sono importanti gli arrangiamenti nei tuoi lavori?
Ti ringrazio del complimento. Gli arrangiamenti sono fondamentali, sono il modo in cui ho dato una riconoscibilità a ciò che faccio. Fanno anch’essi parte di un discorso “d’autore”, se vogliamo: sono una firma, uno stile. Non sono il piatto di portata per riempire lo spazio sonoro attorno a un bel testo e a una chitarra – come spesso si tende a fare, minimizzando, quando si parla di cantautori. Il testo sembra l’unica parte importante, la chitarra un ornamento. Ma in arte (quando l’arte c’è) la forma è tutto. Il canto dà vita alla parola, la sua durata e l’intonazione ne creano il senso emotivo. Nessun’altra forma d’arte è così strettamente legata all’imposizione di un ordine allo scorrere del tempo. L’arrangiamento è un atto compositivo, è un gesto che mette ordine nel caos del suono, che è il caos primordiale. È con la parola, il suono organizzato, che dio dà inizio alla creazione. Per me è un mito, ma i miti ci dicono molto di noi stessi: il potere che ha il suono della parola sull’essere umano è gigantesco. Le sirene incantavano i marinai al punto di trarli alla morte – e non a caso, la parola incanto deriva da canto. L’arrangiamento è il potere di gonfiare il significato di una nota, o di una parola, fino ad arrivare al punto di portarlo vicino a esplodere, fermandosi un istante prima che succeda, per poterlo vedere nel massimo della sua espansione. Poi mica è detto che uno ci riesca…
Da artista e uomo sensibile, quanto pensi sia importante oggi fare musica impegnata?
Da militante penso sia importante l’impegno nelle lotte di tutti; la musica può esserne una componente fondamentale, perché ha il potere di cambiare l’umore, lo stato d’animo, il pensiero – ma non si sostituisce all’organizzazione, allo studio, alla lotta. Da musicista, più semplicemente, mi accontenterei di vedere più diffuso l’impegno a far buona musica. Tra i pesci più grandi come tra quelli più piccoli, tra cui felicemente nuoto, in compagnia di grandi artisti e ottimi amici.
Marco Sonaglia
Tagged cantautorato, Rocco Rosignoli