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Doveva essere presentato all’Acoustic Night 2020, ma l’appuntamento è stato forzatamente rimandato. Fortunatamente Beppe Gambetta è nel cartellone del Festival Internazionale del Balletto e della Musica-Nervi 2020 realizzato dal teatro Carlo Felice. Quindi il suo disco When The Wind Blows / Dove tia o vento trova il suo primo momento dal vivo domenica 19 luglio alle 21.15 ai Parchi di Nervi.
Il concerto di Nervi è finalmente l’occasione per presentare questo album uscito per la Borealis Records. Come mai la scelta del titolo bilingue?
Questa valenza linguistica dice molte cose. E’ un album in cui recito me stesso e le lingue dei luoghi dove viaggio. Canto quindi in italiano, inglese e genovese. La novità è che per la prima volta mi propongo come autore di testi e quindi come cantautore. Non ci avevo mai pensato, ma c’erano delle canzoni che mi giravano in testa da tanti anni. Ho pensato che fosse il momento buono per buttarle giù, incoraggiato anche da altri artisti. In pratica a 65 anni debutto come cantautore, ma anche come chitarrista elettrico ed esecutore di glockenspiel.
L’uso del genovese ha una ragione particolare?
E’ un modo per recuperare le proprie radici. L’influenza maggiore è arrivata da Fabrizio de André in quale ha dimostrato che il genovese ha delle potenzialità incredibili, con le sue parole tronche e la possibilità di fraseggi e influenze che vanno dal francese all’arabo. Inoltre Fabrizio ha usato la strumentazione etnica tre anni prima di Paul Simon. Mi è piaciuto poter raccontare il sentimento per la mia città. In Dove tia o vento ho raccontato una storia che parla degli ultimi secoli: emigrazione, marinai che non tornavano, alluvioni. Drammi in contrasto con la bellezza della città. Mi sono anche consultato con qualche professore di genovese e penso di non aver fatto errori.
Però il suo genere di riferimento è da tempo l’Americana…
E’ la mia passione iniziale e il motivo dei miei viaggi. Partii per la prima volta nel 1985 con un registratore conoscendo solo poche parole di inglese e bussando alla porta dei grandi maestro della tradizione. Fui accolto benissimo, grazie all’apertura mentale tipica degli artisti americana. Questa grande passione nel disco si è concretizzata in alcune canzoni tra cui Wise Old Man. Un pezzo che parla dei grandi vecchi della musica come Pete Seeger, Doc Watson e Fabrizio de André.
Parlava della chitarra elettrica: lei è anche virtuoso di flatpicking, quindi due mondi diversi. Come si è trovato con lo strumento?
Tecnicamente c’è molta distanza. Un rapporto da 1 a 10 se si tiene conto dell’energia che ci vuole per affrontare l’elettrica (1) rispetto all’acustica (10). Bisogna accarezzare lo strumento, e così ho trovato il suono che cercavo per il brano La musica nostra. Un pezzo dedicato ai musicisti “on the road”, ai loro momenti di felicità ma anche dei loro problemi come quello della disoccupazione. Ci voleva un suono particolare che ho realizzato con cinque chitarre sovrapposte tra cui l’elettrica, il bouzouki e la slide.
Michele Manzotti
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