Per ricordare il contrabbassista Gary Peacock, scomparso all’età di 85 anni, proponiamo la recensione del Keith Jarrett Trio al Teatro Comunale di Firenze il 13 luglio 2009. Nella foto Peacock è il primo a destra.
Un concerto di Keith Jarrett può essere un’esperienza indimenticabile o una scommessa. Il carattere del pianista della Pennsylvania è infatti noto per essere molto difficile. Spesso ha abbandonato il palco perché le condizioni che aveva chiesto per suonare non erano rispettate, e la polemica nel 2008 tra lui e l’organizzazione di Umbria Jazz ebbe molta eco sulla stampa di settore e quotidiana. Diversa è stata la condizione in cui Jarrett si è esibito al Teatro Comunale di Firenze, dove tornava dopo 20 anni, per inaugurare il festival Live On. Forse per due fattori principali: il fatto di essere in un luogo naturale per l’esecuzione classica (e quindi silenzio, divieto di fare fotografie, clima interno erano elementi ottimali per un concerto) e il fatto di non essere da solo sul palco. Gary Peacock (contrabbasso) e Jack DeJohnette (batteria) sono compagni di lunga data di Jarrett: un sodalizio, quello del trio, che dura da 26 anni con 18 album incisi. Con Peacock e DeJohnette, Jarrett ha superato meglio quella barriera che spesso pone tra lui, ipersensibile artista, e chi lo circonda. Certo anche in questo caso non sono mancate le richieste particolari, come quella di un aereo che lo riportasse in serata a Nizza dove dorme quando è in Europa (con tanto di trasferta all’aeroporto di Bologna) o la tradizionale scelta fra tre pianoforti Steinway gran coda il pomeriggio prima del concerto. Ma la serata è iniziata e ha proseguito senza problemi, anzi in un crescendo di sorrisi dei tre musicisti. I più graditi, ovviamente, quelli di Jarrett che si è rivolto con lo sguardo al pubblico solo dopo il terzo brano. Vedere il modo in cui Jarrett suona è uno spettacolo nello spettacolo. A differenza di gran parte dei pianisti, lo abbiamo visto inizialmente chinato sui tasti quasi per cercare un dialogo personale con lo strumento, un terreno da tastare. La parte iniziale dei primi due pezzi era dedicata allo strumento solista, momenti in cui il lirismo era predominante. Poi arrivavano contrabbasso e batteria a segnalare il cambio di marcia e fornire a Jarrett gli spunti per l’improvvisazione. E’ qui che spesso il pianista si alza in piedi a cercare lo sguardo dei colleghi o le corde del pianoforte che vibrano sotto un tocco esperto. Non mancano gemiti e vocalizzi che accompagnano alcuni passaggi, al termine dei quali talvolta il pianista si alza per una breve passeggiata sul palcoscenico mentre gli altri suonano. Jarrett e il suo trio hanno proposto un programma dedicato agli stili classici del jazz, tanto immediati quanto affascinanti. Gli echi dei grandi lavori solisti (primo fra tutti il fondamentale The Köln Concert del 1981, che permise a Manfred Eicher. produttore dell’etichetta Ecm di creare il fenomeno Jarrett) si sono stemperati in un tributo ai maestri dei decenni passati. Sette brani, quattro nella prima parte e tre nella seconda, più tre inaspettati e graditi fuori programma. Oltre all’hard bop, terreno di coltura della futura arte del pianista, swing e blues hanno fatto la loro comparsa riletti in modo ispirato. Segnaliamo il secondo brano, The Old Country, del trombettista Nat Adderley, l’immissione improvvisa del tema di Round Midnight di Thelonious Monk alla fine del concerto, la versione vivace di Tonight da West Side Story di Leonard Bernstein. Ma ogni singolo momento ha contribuito a un’esecuzione di classe, compresi i sorprendenti pianissimi di Jarrett per dare spazio ai colleghi. Gary Peacock è stato semplicemente straordinario sia come accompagnatore sia come improvvisatore, senza una sbavatura. Lo stile di Jack DeJohnette è invece preferibile negli assoli e nei momenti in cui le percussioni sono in evidenza. Tutto bene quindi e successo, a questo punto, scontato con pubblico in delirio. Non escluderemmo, vista la posizione dei microfoni e una serata di grazia, un disco “live in Florence” del Keith Jarrett Trio.
Michele Manzotti
Tagged Gary Peacock, jazz