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La serata è di quelle di fine estate in una Milano che non è più la stessa. Non c’è più il caos che negli ultimi anni l’ha contraddistinta; gente in giro ce n’è, ma è tutto più soft, rallentato, sonnacchioso. Sta di fatto che, al contrario di quanto avrei pensato, la platea dei Bagni Misteriosi era piena, nel rispetto delle ordinanze sanitarie. Segnale che oltre agli apericena, i milanesi hanno voglia al più presto di tornare a respirare cultura, in tutte le sue forme. Il luogo è suggestivo: una piscina riconvertita in luogo di aggregazione culturale, di fianco al più noto Teatro Franco Parenti. Lo spettacolo-concerto ha per titolo Mystery Train; due parole che sono tutto un mondo musicale, ma con esso storico e sociale. Ed è proprio da questo intreccio che i quattro protagonisti legano i racconti, orali e cantati. Sul palco salgono Gabriele Amalfitano (chitarra e voce), Matteo Portelli (tastiera e basso), Margherita Laterza (voce e letture) e Alessandro Portelli (narratore); quest’ultimo il più conosciuto, essendo ex professore ordinario di letteratura angloamericana all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, storico, esperto di musica, e presidente del Circolo Gianni Bosio. Così citando Mystery Train, per chi è un po’ più avezzo al ambito della popular music, viene in mente lo stupendo (e indispensabile) libro di Greil Marcus, che porta lo stesso titolo; e poi il libro Treni di carta che Remo Ceserani ha pubblicato nel 2002, in cui analizzava l’irruzione del treno nella letteratura moderna. Ha memoria non ricordo se citasse anche esempi di autori statunitensi, ma di certo il filo conduttore era simile a quello portato in scena da Portelli & co. Il punto di partenza di tutto è il brano che Elvis Presley incise per la Sun Record nel 1953. Da qui Portelli parte per raccontare libertà, frontiera, industria, solitudine, utilizzando il treno come straordinaria metafora della modernità americana. Portelli sottolinea bene l’utilizzo del termine “americano” e non “statunitense” (parola che dovrebbe essere giustamente utilizzata quando ci si riferisce agli Stati Uniti d’America, e l’altra al continente). Ma quest’ultimo aggettivo ha una connotazione geografica, mentre l’“America” è un posto dell’immaginario. In questo “luogo della mente” trovano spazio i treni che popolano questo spettacolo: materiali e spirituali, frequentato dalla borghesia e dagli hobos (per cui pieno di solitudine, nel primo caso, e di condivisione, nell’altro), tra progresso, lotte sociali e scioperi.
In questo scenario si muovono i personaggi evocati dai quattro protagonisti sul palco: Nathaniel Hawthorne, Emily Dickinson, Henry David Thoreau, Woody Guthrie, Bruce Springsteen, Elvis Presley, Johnny Cash, e altri ancora, seguendo le orme della musica folk, blues, rock e gospel. I brani presentati variano dai poco conosciuti al grande pubblico (come Shenandoah, brano della tradizione folk, e I Remember Loving You di Utah Phillips), alle più note Love in Vain (Robert Johnson), i traditional Joe Henry e Midnight Special, Stolen Car (Bruce Springsteen), Downtown Train (Tom Waits). Il brano Mystery Train viene usato in chiusura come simbolo della fine dell’epopea dei treni, che è stata l’arricchimento spropositato da parte di pochi, lo sfruttamento incontrollato del lavoro degli operai, la conquista di una nazione intera, la condivisione del viaggio (e del suo mito); per una nuova era: quella iniziata negli anni ’50 con la costruzione forsennata di autostrade, che paradossalmente hanno avvicinato luoghi lontani e allontanato città vicine. A chiudere questo spettacolo, arricchendolo ulteriormente di pathos, i tre musicisti hanno proposto come bis, i brani Hobo’s Lullaby di Woody Guthrie, e Long Train Running dei Doobie Brothers. Un plauso a tutto il gruppo che ha saputo raccontare un pezzo di storia attraverso la letteratura e la musica.
Riccardo Santangelo
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